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Gandhi per liberal-democratici

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Gandhi per liberal-democratici

Il Mahatma Gandhi mentre legge un giornale
Il Mahatma Gandhi mentre legge un giornale

Secondo molti teorici della politica non-occidentali, la versione occidentale della teoria politica contemporanea avrebbe negletto la tradizione orientale in genere e quella indiana in particolare. Per evitare questa forma di resistenza, che rende difficile il dialogo interculturale, la mia strategia consiste da un lato nell'enfatizzare il meglio che la tradizione occidentale può offrire oggi nell'ambito del pensiero politico, e dall'altro, nell'indicare alcuni punti deboli di questa tradizione che potrebbero essere meglio trattati tenendo conto della cultura politica dell'Oriente. Facile capire le più evidenti difficoltà dell'impresa.
In primo luogo, non è scontato indicare il meglio della tradizione occidentale in teoria politica. Mi sono tolto d'impaccio parlando di Foucault, Habermas e Rawls, sulla cui rilevanza c'è poco da discutere. Questi autori, però, non sono particolarmente interessati – per usare una litote – al pensiero orientale, e quindi l'intenzione di suggerire per così dire integrazioni al loro pensiero ispirate alla teoria politica indiana rischia di risultare arbitraria. In secondo luogo, come sappiamo, termini come Est e Ovest sono terribilmente vaghi e carichi di ambiguità. C'è quindi necessità di contestualizzarli e renderli meno opachi facendo riferimento a specifici problemi intellettuali.
Me la sono cavata con un'ipotesi semplicistica ma (spero) non priva di senso. Secondo questa ipotesi, il significato profondo della teoria politica occidentale contemporanea consiste nel fornire i fondamenti normativi della liberal-democrazia. Se si accetta questa versione, allora non dovrebbe essere particolarmente controverso indicare Habermas e Rawls come i due rappresentanti per eccellenza del pensiero politico occidentale contemporaneo. Tuttavia, la liberal-democrazia è in crisi pressoché dappertutto. Ci sono Paesi, come la Russia, la Cina, l'Ungheria e la Turchia, che non sembrano molto attratti dal modello liberal-democratico. E in quegli stessi Paesi in cui tale modello non è in discussione, a cominciare dagli Stati Uniti, si percepisce un notevole deficit funzionale e morale degli istituti liberal-democratici. La critica del modello liberal-democratico classico ha un suo indubbio spazio in Occidente, uno spazio che va dal pensiero post-moderno francese, e a parer mio in particolare da Foucault, al revival del marxismo (a cominciare da Gramsci).
Ma è ben possibile che proprio su questa crisi della liberal-democrazia possa poggiare una ripresa – in Occidente come in Oriente – di temi e problemi cari alla tradizione di cultura politica indiana e in generale dell'Est. Ho in mente, in particolare, un modo di pensare la politica che va da Gandhi agli sviluppi contemporanei del pensiero politico indiano, in autori quali Partha Chatterjee, Ashis Nandi, Dipesh Chakrabarty e in generale non-Occidentale, quali il cinese Ji Wei Ci e il musulmano An Na'im.
Un primo passo in questa direzione consiste nello storicizzare e rendere meno universalistico il concetto di liberal-democrazia. A questo punto di vista, la critica "genealogica" di Foucault ha già rivelato come le visioni del mondo generali, quali la liberal-democrazia, sono risposte a problemi storici concreti e specifici. Qualcosa del genere è accettato da gran parte della tradizione orientale, da Said in poi. Bisogna cambiare il senso della storicità, per molti di questi autori, così come compreso di solito in Occidente per esempio sulla scorta di Hegel. La storia del mondo non può più essere concepita come una lunga marcia il cui fine consiste nel raggiungere il traguardo della modernità occidentale. Il "qui" e "ora" della storicità occidentale devono essere tradotti in un vocabolario più pluralista e aperto all'alterità.
Si può essere d'accordo su questa prospettiva. Ma, ammettiamolo, siamo ancora troppo sulle generali. In che senso, assumendo maggiore apertura all'alterità dell'Oriente, possiamo dire che la tradizione orientale integra la nostra? Come già annunciato, credo che qualcosa del genere abbia a che fare con la crisi della liberal-democrazia, crisi che tocca le idee stesse di rappresentatività e legittimazione che ne sono il nucleo profondo. Questa crisi è antica, e in termini contemporanei, non ci può non far pensare all'età dei totalitarismi in Occidente (tra il 1920 e il 1989). La risposta a questa crisi è di solito stata – a cominciare da Habermas e Rawls – in termini di partecipazione e trasparenza. Aumentare la partecipazione consapevole era l'imperativo di chi voleva trovare un rimedio per la crisi della liberal-democrazia. Gli svariati modelli di democrazia deliberativa, che sono stati formulati negli ultimi anni, esemplificano questo movimento di pensiero. Ho la sensazione che questo rimedio non funzioni. Credo piuttosto che ci sia bisogno di una vera "rivoluzione culturale" nell'ambito della liberal-democrazia. Questa rivoluzione potrà trarre ispirazione dalla "austerità" cinese, invocata dal primo Mao e riproposta di recente da Ji Wei Ci in maniera più compatibile con la tradizione liberal-democratica occidentale. Ma soprattutto – questa è la mia tesi di fondo – può trarre nutrimento da Gandhi.
Gandhi, nei suoi scritti, collegò sempre le idee di swaraj e swadeshi, sarebbe a dire di autonomia individuale e indipendenza nazionale, con lo scopo di "purificare" la politica tramite un mutamento della coscienza di ognuno. Nei miei termini, prendere sul serio questa tesi di Gandhi vuol dire che morale personale ed etica pubblica devono restituire alla politica verità e dignità. Il liberalismo occidentale ha storicamente cercato di proteggere l'individuo dal governo, tutelando i suoi diritti fondamentali. Questa è una condizione necessaria... ma forse non sufficiente. Si può pensare che una liberal-democrazia sana richieda anche una terapia meno istituzionale e più personale, un modo di proteggere l'io da se stesso (qualcosa di simile alla «cura del sé» di cui parla Foucault?). Questa terapia, che comincia con una riduzione volontaria del desiderio e dei bisogni, è di certo molto radicata nella tradizione spirituale dell'India. Forse dobbiamo, sulla scia di Gandhi, prenderla in considerazione anche in Occidente. Dopotutto, difficile negare che una liberal-democrazia all'altezza dei suoi compiti istituzionali ed etici richiede cittadini capaci di rispettare se stessi e ispirati da ideali. Utopia? Può essere. Ma se non ci piace il presente della politica, che cosa altro possiamo fare se non avere il coraggio dell'utopia?
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workshop in india
L'articolo del professor Sebastiano Maffettone è un estratto della Prolusione da lui tenuta al Workshop on «Contemporary Political Theory: Indian and Western Perspectives» tenutosi a Mumbai da 7 al 14 gennaio. Il workshop è organizzato annualmente dal dipartimento di Filosofia della University of Mumbay presieduto dalla professoressa Kanchana Mahadevan.
È la prima volta che il workshop viene aperto e chiuso da un non-indiano. Lo scopo del workshop è quello di mettere in contatto la filosofia politica occidentale e quella indiana, in modo da consentire una maggiore comprensione reciproca e possibilmente un avanzamento della conoscenza.Tra i partecipanti ai lavori, i professori: Aakash Singh Ratore, Mhenakshi Shedde, Sudarsan Padmanabhan, Manghesh Kulkarni e Purushottam Bilimoria.