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Un pizzico d'ignoranza per innovare

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Un pizzico d'ignoranza per innovare

«Renzi? La sua forza sta nell'ignoranza»: così un altolocato amico parlava del presidente del Consiglio. Era una battuta disincantata ma non cattiva. E per capire come la "ignoranza" non sia una brutta parola basti guardare a un recente florilegio di libri sulle virtù del non-sapere, da Ignorance di Stuart Firestein a The power of ignorance di Chris Gibbs. Anche la parlata comune talvolta dà conto di queste virtù: «ignorare gli ostacoli» evoca coraggio e determinazione. Ma mancava in questa letteratura uno studio che guardasse al ruolo "economico" dell'ignorare.

Adesso uno dei massimi studiosi italiani di economia dell'innovazione, Piero Formica, ha cantato i vantaggi dell'ignoranza in relazione a quel motore dell'economia che è la capacità di innovare. In due libri editi da Macmillan – Stories of Innovation for the Millennial Generation e The Role of Creative Ignorance: Portraits of Pathfinders and Path Creators – Formica, con autorità e passione, viviseziona quel processo di "ignoranza creativa" che è alla base della creazione di ricchezza.

Questi due libri hanno due meriti, uno di metodo e uno di sostanza. Quello di metodo sta nella scrittura. Una scrittura che ha a sua volta due meriti: ariosa e accattivante da un lato, e soprattutto, dall'altro, fondata sulle "storie": così come un'immagine vale mille parole, un concetto espresso attraverso una storia – favola o parabola – spiega e insegna molto di più che per le ispide vie di un trattamento professorale. E ad alleggerire i testi c'è un florilegio erudito ma non pesante di citazioni che cavalcano secoli, latitudini e longitudini.

Ma veniamo alla sostanza. L'economia si compone di macroeconomia e di microeconomia, e il discorso economico – quale si dipana nei giornali e negli altri mezzi di comunicazione – è corrispondentemente centrato su quei due poli: le vicende del Pil, dei tassi, dei cambi da un lato, e, dall'altro, le vicende delle imprese, dei ricavi e degli utili. Ma c'è un ponte fra il micro e il macro, fra gli alberi e la foresta: quel ponte è il gradino della «distruzione creativa» alla Schumpeter, un salto di qualità, una discontinuità legata all'innovazione che segna un nuovo ciclo di sviluppo e descrive i travagli e le promesse legati al nuovo prodotto, al nuovo modo di produrre, alla nuova offerta capace di creare nuova domanda.

Tornano alla mente le parole, ancora, di Schumpeter: «Nella realtà del capitalismo, in quanto distinta dall'immagine che ne danno i libri di testo, non è la concorrenza sul prezzo che conta. La competitività è quella che viene dal nuovo prodotto, dalle nuove tecnologie, una competitività che determina un vantaggio decisivo di costo o di qualità, e che non opera al margine; minaccia non tanto i profitti o le quantità prodotte ma le fondamenta stesse, la vita stessa delle imprese. È di tanto più efficace della concorrenza di prezzo quanto un bombardamento è più efficace dello scasso di una porta».

Insomma, il discorso economico oggi è troppo centrato su quello che c'è – un esame e una previsione incrementale dell'economia che parte dall'esistente – e non abbastanza su quel che non c'è: quel che si "ignora". Cosa di più importante, allora, che indagare le condizioni necessarie allo scoccare della scintilla dell'innovazione? L'innovazione non è un fulmine a ciel sereno. È inattesa, se no non sarebbe innovazione, ma ha bisogno di un humus culturale, di un sostrato sociale, di condizioni permissive delle istituzioni e delle politiche. E ha bisogno – non sembri un paradosso – di "ignoranza".

La "creative ignorance" che viene celebrata è quella di chi decide, appunto, di ignorare i sentieri battuti, di chi "viaggia leggero", senza il bagaglio concettuale dell'esistente, e può indulgere in quel «pensiero laterale» che è alla base dell'innovare.
Formica distingue i "pathfinders" – coloro che cercano e trovano i migliori sentieri nella giungla dell'esistente e creano la «innovazione incrementale» – e i "pathcreators" – coloro che escono dalla giungla ed esplorano nuovi mondi della produzione e del consumo.

Di questi "creatori" Formica dà parecchi esempi (e non solo in campo economico): da Jeff Bezos – il boss di Amazon – a Epaminondas e Pelopidas – i comandanti delle forze tebane che sconfissero Sparta nella battaglia di Leuttra (371 a.C.) – a Robert Noyce e Gordon Moore, che lasciarono Fairchild Semiconductor e fondarono Intel.
L'Italia, nel bene e nel male, figura spesso nelle analisi di Formica, con un buon numero di "pathfinders", da Adriano Olivetti a Leonardo Del Vecchio. Ma è difficile farsi largo per i "pathcreators": gli italiani – Formica cita un sondaggio Gallup – credono nella meritocrazia molto meno che negli altri Paesi.

In Italia c'è molta ricchezza: il nostro Paese ha l'1% della popolazione mondiale, il 3% del Pil e ben il 5,7% della ricchezza, ma i capitali non fluiscono verso progetti innovativi. Eppure c'è oggi un fermento, legato alle opportunità offerte dalla telematica (che ha abbassato drasticamente il punto di breakeven per le nuove iniziative), dalle nanotecnologie e dalla robotica, dove l'Italia è fra i leader mondiali.
Altri fermenti, altre promesse e altre avventure sono ben rappresentati nei racconti che compongono le Stories of Innovation for the Millennial Generation: da un dialogo fra Gulliver e Crusoe a un viaggio lungo il filo rosso del caffé, da un'ode alla "pecora nera" a un excursus sui futuri rapporti fra il Middle Kingdom (Celeste Impero) e l'Arabia Felix... Non c'è che l'imbarazzo della scelta. E il piacere della lettura.
fabrizio@bigpond.net.au

Piero Formica: Stories of Innovation for the Millennial Generation
Palgrave Macmillan, Basingstoke,
pagg. 168, $ 64,18

Piero Formica: The Role of Creative Ignorance: Portraits of Pathfinders and Path Creators
Palgrave Macmillan, Basingstoke, pagg. 128, $56,36