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La pacifica rivolta di Gospodin, antieroe tragicomico

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Teatro

La pacifica rivolta di Gospodin, antieroe tragicomico

È un Don Chisciotte dei nostri giorni. Lotta, a modo suo, contro il capitalismo. Odia il consumismo, rifiuta i soldi, e vive girando con un lama. Corre sempre Gospodin. Da quando, svegliatosi a testa in giù sulla panchina di un parco, e riannodando i ricordi confusi, vede il mondo circostante distorto e inizia le sue allucinate scorribande.

Corre attraversando vie e marciapiedi, sfidando il traffico e la gente, salendo scale e scendendo nei meandri della città, per rifugiarsi infine nella sua casa, vuota di ogni arredo, e con, per giaciglio, un letto di paglia. È in fuga da un mondo che non gli appartiene, alla ricerca di un'alternativa all'odiato modello capitalista, perché la sua felicità non è basata sul possesso dei soldi. Anzi, vuol dimostrare che si può vivere senza. È furioso e non si dà pace da quando Greenpeace gli ha sequestrato il suo lama peruviano col quale se ne andava a spasso dimostrando che si può vivere liberi dal consumismo e dalla schiavitù del denaro e in simbiosi con la natura e gli animali. Lui, giovane non omologato al sistema, refrattario a ogni dipendenza di natura economica, ha i suoi ferrei princìpi e i suoi obiettivi di vita. Li ha scritti sul muro della cucina: “I soldi non devono essere necessari: quindi, tuttalpiù si vive di baratto”; “una partenza è da escludere: sarebbe troppo facile lasciare il proprio Paese (per essere felici)”; “ogni proprietà è da rifiutare perché la nullatenenza è la libertà”; e, infine, “libertà è non dover prendere decisioni”. Per questa ostinata, inguaribile “patologia” colleziona amarezze e abbandoni: dalla fidanzata, dalla madre, dagli amici (che lo priveranno dei beni che possiede, frigorifero, televisione e letto), i quali, però, in seguito, si riavvicineranno quando sapranno che Gospodin è venuto in possesso di una valigetta stracolma di denaro consegnatale da un amico. Soldi dei quali non sa l'origine, in realtà frutto di un malaffare, che egli non vuole possedere, né dare ai suoi conoscenti, e dei quali cerca di disfarsi facendoseli rubare o lasciandoli in mezzo alla gente, ma senza riuscirci. Finirà in prigione, sospettato di complicità, ma felice finalmente di aver trovato il luogo ideale dove vivere libero. Ed è quindi il carcere come luogo di libertà, il paradosso che egli infine propone, dove finalmente non si lavora per i soldi, ma per esprimersi; dove questi possono essere devoluti in beneficienza senza dover pensare ai bisogni primari - cibo, tetto e cure – ai quali pensa l'istituto di pena; e dove non è più necessario scegliere, ma se si vuole si può leggere un libro, uscire a prendere aria, non accettare visite. Parabola surreale di un uomo semplice e di disarmante umanità, intraprendente e tenero, dotato di imperturbabile ironia, che incarna l'attuale stato sociale di crisi economica e d'identità, Gospodin, del premiato 36enne scrittore tedesco Philip Löhle, ha il sapore di una tragicommedia di stampo brechtiano che ben si addice alla mano registica di Giorgio Barberio Corsetti: per la tematica attuale, che si presta, per la leggerezza della scrittura, ad un piano simbolico; per la visionarietà tutta contemporanea, e per la poetica dinamica delle immagini che suggerisce. Elementi consoni a quel linguaggio ipertecnologico che appartiene a Corsetti, e qui fantasticato con la “graphic animation” e la “video mapping”, che disegnano scenografie e ambienti su dei pannelli continuamente ribaltabili. E sono perfetti i tre interpreti: Claudio Santamaria, nel ruolo del protagonista, e Valentina Picello e Marcello Prayer, che danno corpo ai diversi strampalati personaggi dell'universo di Gospodin, con misurato macchiettismo e giusta frenesia nevrotica. Tre ruoli solistici - che calzano sulle personalità dei tre attori, sulla loro indole scenica e trasformista - quasi a formare un'unica voce: divertente, a tratti satirica, spesso tagliente.

“Gospodin”, tratto da “Gennant Gospodin” di Philipp Löhle, regia di Giorgio Barberio Corsetti e con Marcello Prayer e Valentina Picello, traduzione di Alessandra Griffoni a cura del Goethe Institute, scene Giorgio Barberio Corsetti e Massimo Troncanetti, costumi Francesco Esposito, luci Gianluca Cappelletti, graphics Lorenzo Bruno e Alessandra Solimene, video Igor Renzetti, musiche Gianfranco Tedeschi e Stefano Cogolo. Produzione Fattore K., L'Uovo Teatro Stabile di innovazione, in collaborazione con Romaeuropa. Al Teatro Menotti di Milano fino al 25 gennaio, e a Padova, Verona, Vicenza.

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