Cultura

Un fedele contestatore

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Un fedele contestatore

  • –Giuseppe Lupo

Ammettiamo che sia esistita, dagli anni Cinquanta ai Settanta, una linea di scrittori non riconoscibili nella divisione fra apocalittici e integrati, individuata da Umberto Eco nel 1964. Ammettiamo pure che le questioni della modernità, così come sono state declinate in Italia prima e dopo il boom, abbiano generato piste alternative sia alla cosiddetta letteratura del rifiuto, sia all’utopismo urbano che fa capo a Calvino. Se qualcosa del genere è stato prodotto, di sicuro avrebbe avuto in Mario Pomilio il suo capofila. I tratti distintivi non mancano e sono da rintracciare, oltre che nei pronunciamenti di un cristianesimo a forte vocazione laica, anche in quella particolare nozione di dissenso con cui egli si è posto di fronte ai paradigmi della Storia, certo non per chiamarsi fuori, per negarla o esautorarla, ma per travalicarne i risultati, per rifondare su altre regole il sentimento del vivere comunitario e dare azione compiuta alla voce inascoltata del Vangelo. In altre parole, per varcare la Storia e vincerne “la malinconia”, come avrebbe affermato egli stesso negli Scritti cristiani (1979).

Sottolineare la natura profetica e politica dei libri di Pomilio, a venticinque anni dalla morte, dunque in una stagione ormai aperta ai bilanci, non significa sminuire i vincoli di parentela con l’entroterra religioso (che sono infiniti, inossidabili e fino a qualche decennio fa addirittura facile pretesto di ghettizzazioni culturali), semmai rileggerli quale manifesto di una lontananza da tutto ciò che si definisce civiltà contemporanea. Non condividere i caratteri di un’epoca vuol dire scegliere una strada di implicita disobbedienza, svolgere un’azione corrosiva nei confronti del momento in cui tocca vivere. A suo modo, disobbediente e corrosivo Pomilio lo è stato (come non ricordare almeno nel titolo il suo Contestazioni) e, senza ricorrere ai clamori della protesta e della rabbia, ha fatto suo il protocollo delle responsabilità morali che gravano sugli intellettuali e si è impegnato a cercare non il «senso dell’essere» ma il «senso del fare», a seguire non tanto la «tentazione mistica» quanto l’«esigenza di razionalità». In ciò risiede la complessità e il fascino di una proposta affidata a romanzi e saggi, che ci dicono di una persona inappagata, probabilmente in conflitto latente con il tempo presente, pur avendo contribuito a edificarlo come partigiano e come esponente del Partito d’Azione.

Pomilio non si è mai mostrato troppo propenso ad accettare i segni di un quotidiano costellato da miti effimeri, né ha mai consegnato il proprio lavoro alla dimensione della testimonianza. Anzi, trovando appigli nella tradizione francese dei Bernanos e dei Maritain, ha preferito dimenarsi tra colpa e innocenza, tra male individuale e catastrofe collettiva.

Questo dato, che vanta una parentela d’elezione con Manzoni (a cui dedica Il Natale del 1833), spiega anche le ragioni per cui fare letteratura equivale a indagare nei territori della speranza, cercare un progetto alternativo ai limiti e alle inadempienze dentro cui nascono e si cancellano i destini degli individui.

Pomilio va scovato lì, dove la delusione della Storia sconfina nella tensione al futuro, dove i singoli uomini erigono un altare al Dio prossimo a farsi conoscere. E così come ha raccontato il fallimento delle ideologie con un piglio ora incline al paradosso (nel Nuovo corso, 1959), ora in funzione morale (nella Compromissione, 1965), in eguale misura non ha fatto mistero sul travaglio di una Chiesa preconciliare, aspettando e sospirando i segni di un rinnovamento che in dimensione narrativa avrebbe trovato risposta nel Quinto evangelio(1975), uno dei rari capolavori ereditati dal Novecento. Basterebbe osservare le forze genetiche di questo libro per confermare la matrice controcorrente della scrittura di Pomilio: romanzo e antiromanzo, esplorazione apocrifa e ricognizione di una sacralità nascosta, summa teologica ed esperimento di filologia sognante.

Troppo banale stimarlo soltanto una verifica di fede o, come più di frequente, il vessillo di una verità. Più opportunamente, potrebbe essere inteso come un esame di coscienza che attraversa mille anni, il lascito di una rivelazione non ancora conclusa, alla luce del fatto che Dio, per tutti noi, non è la soluzione, ma un problema.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

LE OPERE

Di Mario Pomilio sono stati ripubblicati recentemente Il nuovo corso (a cura
e con postfazione di M. Volpi, prefazione
di A. Zaccuri, Hacca, Matelica), Scritti cristiani (a cura di M. Beck, prefazione
di G. Langella, Vita e Pensiero, Milano)
e Il cimitero cinese (a cura di F. Francucci, introduzione di F. Pierangeli, Studium, Roma). Prossimi a uscire l’edizione critica del Quinto evangelio (a cura di W. Santini
e con un saggio introduttivo di G. Frasca, L’Orma, Roma) e gli Scritti saggistici (a cura di M. Volpi, Aragno, Torino). Si segnalano infine gli atti del convegno
Le ragioni del romanzo. Mario Pomilio e la vita letteraria a Napoli , a cura
di F. Pierangeli e P. Villani, presentazione
di L. D’Alessandro, prefazione
di M.A. Grignani, Studium, Roma.

IMMAGINARIO & REALE

Giuseppe Lupo terrà una conferenza
dal titolo «Immaginare atlanti attraverso
le parole» giovedì 29 (ore 19) presso il Centro Coscienza di Milano. Ingresso 8 euro, gratuito per gli studenti. www.centrocoscienza.it