Cultura

Da «Ixcanul» a «Victoria»: ritratti di signore al…

  • Abbonati
  • Accedi
CINEMA

Da «Ixcanul» a «Victoria»: ritratti di signore al Festival di Berlino

A Berlino è una giornata tutta al femminile: in concorso sono stati presentati tre lungometraggi con protagoniste tre giovani donne costrette ad affrontare problemi differenti.
Colpisce, in particolare, «Ixcanul», film guatemalteco diretto da Jayro Bustamante.
Si racconta la storia di Maria, diciassettenne che vive con i genitori ai piedi di un vulcano attivo. La ragazza è ormai prossima alle nozze, ma si tratta di un matrimonio combinato deciso dai suoi familiari. Prima di mettersi il velo, Maria seduce un giovane contadino locale (pronto a trasferirsi in America) e rimane incinta di lui. Decidere se tenere o meno il bambino sarà la scelta più difficile della sua vita.

Indubbiamente una delle sorprese più positive viste fino a oggi al Festival tedesco, «Ixcanul» racconta di una comunità che vive agli antipodi della civiltà, senza elettricità e acqua potabile, compiendo curiosi riti mistici lungo le pareti del vulcano.
Ciò che emerge è un sentito ritratto di un'adolescente insicura sul proprio futuro, desiderosa soltanto di conoscere un'altra parte di mondo che non sia quella dove ha passato ogni anno della sua vita.
Bustamante dimostra buona maturità registica, sa come riprendere il paesaggio circostante e come dirigere al meglio un gruppo di attori efficaci.
Qualche passaggio prevedibile intacca solo in minima parte una visione intensa e contenutisticamente importante, che potrebbe dire la sua anche all'interno del palmares finale.

Titolo interessante, anche se non del tutto compiuto, è «Victoria» del tedesco Sebastian Schipper.
Protagonista è una giovane spagnola, che vive e lavora a Berlino. Mentre si trova in un club come tanti, viene avvicinata da un gruppo di coetanei. Per lei sarà l'inizio di un incubo che finirà in tragedia.
La particolarità del film è che si tratta di un unico lungo piano-sequenza: un flusso ininterrotto, capace di coinvolgere lo spettatore e di fargli vivere sulla propria pelle le sensazioni provate dall'ingenua Victoria.
Se dal punto di vista tecnico è un prodotto impressionante, rimangono molte perplessità per una narrazione piena di svolte poco credibili e vittima di una durata eccessiva. Il gioco (registico) è bello quando dura poco, ma Schiller allunga troppo la vicenda (140 minuti) finendo per renderla meno accattivante e suggestiva di quanto potesse essere.
Infine, una menzione negativa per «Journal d'un femme de chambre» di Benoît Jacquot con Léa Seydoux.

L'attrice interpreta Célestine, cameriera che si è appena trasferita da Parigi in una casa di campagna dove ha trovato lavoro. Qui dovrà fare i conti con i bollenti spiriti del padrone e con il caratteraccio della padrona.
Dal romanzo omonimo di Mirbeau sono già stati tratti diversi celebri adattamenti per il grande schermo (firmati da autori del calibro di Jean Renoir e Luis Buñuel) e quest'ultimo di Jacquot non riesce ad aggiungere sostanzialmente nulla a quelli già realizzati.
Anzi, se la confezione patinata lascia il tempo che trova, i difetti maggiori stanno proprio in una narrazione priva di mordente, che con l'attualità non ha nulla a che fare e che perde di interesse con il passare dei minuti.
Léa Seydoux è affascinante come sempre, ma non basta.

© Riproduzione riservata