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Poesia e scienza hanno le ali

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Poesia e scienza hanno le ali

  • –Carlo Rovelli

In vita era considerato

un entomologo dilettante

ma la sua ipotesi sul passaggio delle farfalle da Bering ora è definitivamente riconosciuta

Gli incroci fra scienza e letteratura seguono percorsi strani. Passando in questi giorni al Museo di scienze naturali di Milano si incontra una vecchia bacheca con una collezione di farfalle blu, accanto a un nome inaspettato: Vladimir Nabokov. Lui: l’autore di Lolita, dalla scrittura abbagliante, «Lo-li-ta: la punta della lingua compie un percorso di tre passi sul palato per battere, al terzo, contro i denti. Lo. Li. Ta. Era Lo, semplicemente Lo al mattino, ritta nel suo metro e quarantasette con un calzino solo. Era Lola in pantaloni. Era Dolly a scuola. Era Dolores sulla linea tratteggiata dei documenti. Ma tra le mie braccia era sempre Lolita». Forse uno dei massimi romanzieri del Novecento; in un articolo sul supplemento letterario del «New York Times» si legge «nei circoli accademici Nabokov è sempre più menzionato in compagnia di nomi come Proust and Joyce». Eppure Vladimir Nabokov, la fama la cercava altrove. Una sua poesia, dal titolo Scoprire una farfalla, inizia così: «L’ho trovata e le ho dato il nome, perché conosco / la tassonomia latina: così sono diventato / il padrino di un insetto e il primo / ad averlo descritto; non voglio altra fama che questa». Le farfalle erano la sua passione. Lolita è stato scritto durante uno dei viaggi nell’Ovest americano che Nabokov ripeteva ogni anno per raccogliere farfalle.

Nel regno sereno dove stanno le anime dei grandi scrittori, penso che Vladimir Nabokov sorrida: un paio di anni fa, un articolo sui «Proceedings of the Royal Society of London», una delle riviste scientifiche più autorevoli, ha annunciato che la sua più audace teoria scientifica è stata confermata. Il suo nome resta per sempre nella scienza: lui ha compreso per primo la diffusione dell’icaro azzurro (Polyommatus Icarus), la deliziosa farfalla blu che si può vedere al Museo di Milano. È «padrino di un insetto», la fama che cercava.

La teoria di Nabokov riguarda i modi di diffusione di queste farfalle nel continente americano. Nel 1945, ha pubblicato l’ipotesi che questa farfalle si fossero evolute in Asia, per arrivare in America attraversando lo stretto di Bering in cinque ondate successive nel corso di dieci milioni di anni. Nessuno lo prese sul serio. Non si poteva immaginare che farfalle che vivono in climi caldi si fossero potute spingere così a Nord. Invece tecniche moderne di sequenzamento del DNA hanno permesso di ricostruire la genealogia delle specie e dconfermare con precisione le ipotesi di Nabokov. In più, la ricostruzione dei cambiamenti climatici ha mostrato che lo stretto di Bering ha attraversato fasi con climi sufficienti caldi per permettere il passaggio delle farfalle nei periodi che Nabokov aveva ipotizzato.

Nabokov è stato curatore della sezione dei lepidotteri al Museo di zoologia comparata dell’Università di Harvard. Ha pubblicato descrizioni dettagliate di centinaia di specie. Inseguiva farfalle fin da ragazzo, felice rampollo di una ricchissima famiglia aristocratica russa. A otto anni, suo padre è imprigionato per attività politiche e il piccolo Vladimir gli porta in dono in cella una farfalla. Il padre ucciso, la fortuna della famiglia perduta nella rivoluzione, Nabokov fugge in Europa, dove consuma i proventi del suo secondo romanzo per pagare una spedizione a caccia di farfalle sui Pirenei. Fugge anche dall’Europa per l’arrivo al potere dei nazisti, e la sua passione per l’entomologia continua negli Stati Uniti. In vita era considerato un bravo dilettante, capace di descrivere le specie di farfalle, un ultimo esemplare lui stesso di una specie in via di estinzione: i grandi aristocratici ottocenteschi per i quali collezionare farfalle era un passatempo. Ma una decina di anni dopo la sua morte, 1977, alcuni entomologi cominciano a prendere sul serio il suo lavoro scientifico. Le sue classificazioni si rivelano acute. Una specie di farfalle viene chiamata «Nabokovia cuzquenha», in suo onore. Un libro del 2000, Nabokov’s Blues, racconta questa riscoperta delle classificazioni di Nabokov. Ma doveva passare un’altra decina di anni per la spettacolare dimostrazione della sua ipotesi sul passaggio delle farfalle da Bering, e il suo definitivo riconoscimento come scienziato di indubbio valore.

C’è relazione fra la scienza di Nabokov e la sua letteratura? È difficile resistere alla tentazione di avvicinare Lolita alla farfalla, sopratutto la Lolita negli occhi dell’immenso e disperato amore di Humbert Humbert, ma forse è troppo facile. La questione è discussa in un saggio di Stephen Gould pubblicato in Italia nella bella antologia I Have Landed. Nel saggio, dallo splendido titolo «Non esiste scienza senza fantasia, né arte senza fatti: le farfalle di Vladimir Nabokov», Gould sostiene che l’attenzione estrema e quasi ossessiva per l’osservazione e i dettagli sono alla base sia del successo di Nabokov nell’osservazione delle farfalle, sia della sua tecnica di romanziere. Probabilmente è vero. Nabokov ha scritto: «Uno scrittore deve avere la precisione di un poeta e l’immaginazione di un scienziato».

Ma a me sembra non basti. Nel 1948, nelle memorie Speak memory (Parla, ricordo), una delle più celebrate autobiografie letterarie di tutti i tempi moderni, Nabokov scrive con la sua prosa straordinaria: «I misteri di mimetismo hanno un’attrazione speciale su di me. I suoi fenomeni mostrano una perfezione artistica di solito associata con le cose fatte dalle mani dell’uomo. È così l’imitazione di gocce di veleno nelle macule a bolla su un’ala (inclusa una simulazione della rifrazione) o nelle lucidi manopole gialle su una crisalide (“Non mangiatemi: sono già stato spiaccicato, assaggiato e rigettato”). Quando una certa falena somiglia a una certa vespa nella forma e nel colore, arriva a camminare e muovere le antenne in maniera vespica anziché falenica. Quando una farfalla dove apparire come una foglia, non solo tutti i dettagli di una foglia sono realizzati splendidamente, ma sono generosamente aggiunti segni che mimano i fori dei parassiti. La “selezione naturale” darwiniana non sembra arrivare spiegare la coincidenza miracolosa di imitazione di aspetto e comportamento; non sembra essere sufficiente la “lotta per la vita”, quando un dispositivo di protezione è portato a un punto di sottigliezza mimetica, esuberanza, e lusso che sembra al di là della capacità di apprezzamento di un predatore. Ho scoperto nella natura un dilettarsi senza utilità che ho cercato nell’arte. Entrambe sono una forma di magia, entrambe un gioco di intricato incanto e inganno». C’è ben più che la sola capacità di osservare i dettagli con ossessionata attenzione. C’è la capacità di vedere la bellezza. Anche là dove gli sguardi solitamente si posano un attimo e poi scivolano via. Sulle ali di una farfalla. Nel suono di un nome indimenticabile «Lo-li-ta».

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