Cultura

C'è un treno nella vita che passa per tutti

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Claudio Cecchetto

C'è un treno nella vita che passa per tutti

«La vita mi ha insegnato che c'è un treno che passa per tutti. Ma bisogna avere la valigia pronta per prenderlo al volo». Claudio Cecchetto di treni nella sua vita ne ha presi parecchi. Ha costruito un impero partendo da zero. Ha inventato Radio Deejay in un piccolo appartamento di via Franchetti a Milano. L'ha fatta diventare grande, poi l'ha venduta e ha fondato Radio Capital. Disc jockey rivoluzionario, cantante senza cantare: con GiocaJouer ha venduto un milione di copie. Ha lanciato personaggi come Jovanotti, Fiorello, 883, Fabio Volo, Gerry Scotti. Nel 1980 per tre anni consecutivi ha presentato il Festival di Sanremo. Ha progettato programmi televisivi, software e siti Internet. E oggi, dopo 40 anni di carriera, pubblica la sua biografia (In diretta. Il GiocaJouer della mia vita, Baldini&Castoldi) e torna a Sanremo nella giuria “esperti”. «La mia storia dimostra che tutti ce la possono fare. Vengo da Ceggia, un paesino di 6mila anime, in provincia di Venezia. Mio padre faceva il camionista. Arrivato a Milano avevo fame, voglia di emergere e un sogno: lavorare nel mondo della musica. E per realizzare il mio sogno ero pronto a tutto» dice Cecchetto al Sole 24Ore.com

Oggi è ancora possibile realizzarsi nel mondo della musica? «L'arrivo del digitale ha profondamente trasformato il mercato discografico. Streaming e download fanno vendere meno dischi, ma si fanno più concerti. E la musica offre ancora opportunità e lavoro. Ma la concorrenza è internazionale. Se vuoi emergere devi inventarti cose nuove, fare esperienze all'estero (Inghilterra e America soprattutto). Non mi piace parlare di cervelli in fuga, ma di cervelli in viaggio. Artisti che si muovono, si lasciano contaminare dal mondo e poi tornano a casa. E con la valigia piena di idee e suggestioni rendono grande l'Italia».
Consiglierebbe ai più giovani di fare della musica un lavoro? «Sì, ma solo se si è nati per farlo. Bisogna scoprire il proprio talento. Avere una passione che ti riempie la vita e impegnarsi, studiare, dare il meglio di sé, piccoli obiettivi da trasformare in grandi traguardi. A volte abbiamo paura di crederci. Io ci ho sempre creduto: pur di entrare in una casa discografica avrei ricoperto qualsiasi ruolo. Presto ho capito che la fortuna non ha bisogno di raccomandazioni. Può capitare a tutti. È quel famoso treno che passa. E se non passa, anche quello è un colpo di fortuna. Vuol dire che devi ancora prepararti, riorganizzare il contenuto della tua valigia, metterci dentro qualcosa di nuovo, di più. Bisogna essere esigenti quando si tratta dei propri sogni».

Migliaia di persone si mettono in fila per i provini dei talent show: stanno inseguendo un sogno?
«Stanno cercando il famoso quarto d'ora di celebrità di Andy Warhol. Ma tra loro c'è qualcuno che ce la farà. Mi piacciono i talent show, saranno il futuro della televisione. Ci sarà un talent anche per scegliere il conduttore del telegiornale. Chi vince deve vivere il traguardo come un punto di partenza. Che ti dice: sì, tu puoi fare della tua passione un lavoro. Se vieni dalla periferia, poi, devi crederci ancora di più: perché potresti farcela davvero. Ho lavorato moltissimo con persone che arrivano dalla provincia e ho sempre notato che hanno una marcia in più».

Come si diventa un talent scout? «Il talent scout si affeziona al talento degli altri perché crede sia meglio del suo. Se potessi, farei musica come la fa Jovanotti. Ma non sono capace e allora lo aiuto a raggiungere il suo risultato. Nella mia carriera ho prodotto soltanto artisti che mi facevano star bene. Il senso di ogni mio progetto aveva lo scopo di divertire, creare serenità. Le persone serene sono persone migliori, in tutto. Non ho mai lanciato progetti che non mi piacevano. Ho preso anche tante sberle in faccia, ma ho sempre giudicato con la mia unità di misura. Forse ci vuole un po' di talento per scoprire il talento? La prima volta che ho visto Jovanotti ho pensato: «Sarà il nuovo Miguel Bosè. Dopo avergli parlato, con quel cappellino girato sulla testa e la sua energia che mi faceva sentire di buonumore, ho cambiato idea: “Sarà il nuovo Celentano”. Ma alla fine ho capito che sarebbe stato Jovanotti e gli ho detto: “tu sei una star”. Proprio così, non “tu sarai una star”. Lo era già, nessuno lo sapeva ma per me era evidente». Gli artisti che ho lanciato sono come le radici di una pianta, io sono l'acqua. Senza radici, non cresce niente. Grazie a loro ho vissuto mille vite. Ma resto un ragazzo che viene da Ceggia, grato a mio padre. La gratitudine è un valore. Ti ricorda ciò che eri prima di diventare quello che ora sei».

Il denaro è un valore? «Ho sempre avuto un rapporto particolare con i soldi: sono un mezzo, non un fine. Ho guadagnato abbastanza da poter realizzare i miei sogni. Ho sempre speso tutto per lavorare di più e bene. Se vuoi che una cosa accada, la devi fare con la tua forza, la tua energia. Senza aspettare che gli altri capiscano. Gli altri capiranno dopo».

Ha ancora dei sogni?
«Ho sempre bisogno di nuove sfide. Sono un dannato, voglio sempre di più e una volta che raggiungo un obiettivo ho già pronto un nuovo traguardo. Vorrei produrre un talent che si chiama Starcube: la voce non è tutto. E vedere i miei figli, Jody e Leonardo, realizzare i loro sogni».

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