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Arca non russa

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YOLO

Arca non russa

Il piano-monstre prevedeva retrospettiva al MoMA di New York, serie di concerti sempre a New York, e uscita dell'album, tutto per marzo. Solo che l'album in questione – che è il nuovo di Björk, Vulnicura – alla fine è uscito a gennaio per via dei soliti leaks: ma se un salto a New York volete proprio farlo, la mostra al MoMA va avanti fino a giugno eh? Si chiama Björk e basta, perché che altro bisogna aggiungere? Comunque: io Vulnicura lo aspettavo con una certa curiosità, in parte disattesa: un po' fa piacere ritrovare Björk su un terreno tutto suo, quello dell'avanguardia per le masse; un po' non è altro che “il solito disco con lei che canta sulle basi strane”. La curiosità, però, riguardava perlopiù il produttore che l'islandese si era scelta per l'occasione, e cioè Arca: una mossa in linea col ruolo che Björk riveste più o meno da sempre, quello cioè di fine intenditrice delle più immaginifiche tendenze underground. Chi è Arca?, si chiederà lo sprovveduto lettore.

Risposta: è un produttore elettronico di origine venezuelana, il cui nome già spuntava tra i credits di Yeezus, il disco “eccentrico” di Kanye West; intanto, assieme al socio e videomaker Jesse Kanda, lanciava FKA Twigs, la più straniante tra le nuove voci del pop sperimentale; e infine è arrivato il debutto solista, Xen, un oggetto misterioso e algido, scivoloso. Su Pitchfork, Philip Sherburne lo eleggeva miglior album dello scorso novembre, annunciando che, grazie a tizi come Arca, era finalmente da considerare archiviata la lunghissima stagione retromaniaca; Xen, proseguiva Sherburne, era l'esito finale di una ricerca che nell'ultimo biennio ha avuto come attori principali i vari Oneohtrix Point Never, la stessa FKA Twigs, la serata berlinese a nome Janus e finanche il collettivo PC Music, al quale, per inciso, dobbiamo quella caricatura di popstar eccitata dalle troppe bevande energetiche che è Hannah Diamond. Tutta musica che tornava a parlare di futuro dopo che per troppo tempo siamo rimasti irretiti dai fantasmi di un passato ingombrante, ostinato, tirannico. Alla lista andrebbero quantomeno aggiunti nomi come Holly Herndon, Fatima Al Qadiri, Logos, senza ovviamente dire di James Ferraro, che della tendenza è il sommo ispiratore.

Nell'articolo di Sherburne manca anche una parolina che, quando si parla di questa gente, ricorre con una certa frequenza: accelerazionismo. Ma insomma, era solo una recensione tra tante. “Accelerazionismo” è un termine che, da qualche tempo, sta riscuotendo una certa fortuna nei gironi più eretici della sinistra radicale. L'idea di fondo è che, piuttosto che rifiutare il capitalismo così com'è, occorra accelerarne le tendenze latenti, esacerbandone gli aspetti più estremi o addirittura alienanti, insomma autodistruttivi. Sto semplificando e anche parecchio, ma in caso vogliate saperne di più sappiate che sul tema si è scatenato un dibattito accesissimo, prontamente riassunto in testi come The Accelerationist Reader, l'assai critico Malign Velocities di Benjamin Noys oppure, per venire in Italia, l'antologia Gli algoritmi del capitale curata da Matteo Pasquinelli. A introdurre le tesi accelerazioniste nel campo delle nuove musiche digitali è stato il critico inglese Adam Harper, secondo il quale i lavori dei vari PC Music e Fatima Al Qadiri sembrano esasperare e, perché no, accelerare alcuni dei lati più disturbanti dell'esistenza digitalizzata.

In un certo senso, questo vale anche per Arca, o persino FKA Twigs: la loro è musica in 3D vaporosa e fredda, che pare partorita dalle nitide superfici di un tablet più che dal genio romantico che solo rimugina sui mali del mondo; i brani di una tipa come Hannah Diamond sono una forma di pop talmente grazioso, zuccherino e cute da risultare indigesti e in una certa misura persino violenti, insomma inascoltabili. Il Logos dello splendido Cold Mission ne è il corrispettivo darkside. E la musica di Holly Herndon pare l'estremo saluto di un iPhone che, più che prendere vita, farnetica. Non è una musica rassicurante, intendiamoci. Ma di sicuro, per usare le parole del Manifesto per una politica accelerazionista scritto da Alex Williams e Nick Srnicek, è una musica «a proprio agio con una modernità fatta di astrazione, complessità, globalità e tecnologia».

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