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Divisi in famiglia

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Rane

Divisi in famiglia

«I Tories mi chiamano Whig, e i Whigs Tory». L'antico verso di Alexander Pope sembra scritto per consolare quegli infelici che, in Italia, si ostinano a definirsi liberali di sinistra. Oggi, le cose sono più facili, ma per tutto l'arco della Prima Repubblica i rampolli di questa strana famiglia – dal Partito d'Azione agli Amici del Mondo al Partito Radicale – hanno penato molto a farsi riconoscere un posto sulla mappa politica. Visti da sinistra erano a destra, visti da destra erano a sinistra, eppure non erano al centro: bel rompicapo da Settimana Enigmistica. C'è da dire che un po' se la sono cercata. La formula signorile con cui Pannunzio riassumeva l'ispirazione del Mondo – «Progressisti in politica, conservatori in economia, reazionari nel costume» – non aiutava granché a far chiarezza.

Aggiungiamo una certa litigiosità endemica del liberalismo italiano, a destra come a sinistra: la vecchia battuta secondo cui i liberali possono convocare il loro congresso in una cabina telefonica va emendata dicendo che, una volta là dentro, la prima cosa che fanno è prendersi a cazzotti per dissensi inconciliabili sulla disputa Croce-Einaudi o sulla valutazione storica di Giolitti. E se si azzuffano in una cabina telefonica, possono farlo anche tra le copertine di un libro. Breve storia del liberalismo di sinistra (Liberilibri) dà l'occasione di assistere a un'adorabile lite condominiale tra l'autore, Paolo Bonetti, e il postfatore, Dino Cofrancesco. Bonetti compone con dottrina ed eleganza un magnifico ritratto di famiglia, da Gobetti a Bobbio. Cofrancesco lo smonta punto per punto, riaprendo con l'occasione l'eterna querelle sull'azionismo. Storia e controstoria in un solo volume: il duello, cavalleresco e generoso, è da applausi.

Da liberale apolide, come tanti nella Seconda Repubblica, mi sono sentito finalmente a casa. Ma una casa divisa in se stessa non può reggersi, dicono i Vangeli, e così mi è tornato in mente, con un brivido, un Maurizio Costanzo Show di molti anni fa. Era un «uno contro tutti» di Marco Pannella, e tra i tutti c'era Bruno Zevi, allora presidente del Partito Radicale. Quando venne il suo turno, Zevi fu feroce: ma insomma, disse a Pannella, ci vuoi dire chi cavolo siamo? E prese a elencare le innumerevoli sigle della galassia radicale. Lo spettatore medio doveva già essere piuttosto disorientato da quella litania, sennonché Zevi, rosso come un peperone, prese a inneggiare a un'altra sigla ancora, estinta da mezzo secolo: «Viva il Partito d'Azione!».

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