Cultura

Ghetto, droga, rap, soldi, fino all' Empire

  • Abbonati
  • Accedi
yolo

Ghetto, droga, rap, soldi, fino all' Empire

Come e quando la soul music, nata come espressione dei sentimenti, è diventata la musica dell'avidità e del business? Cosa si nasconde dietro questa mutazione, quali i malesseri della società Usa? Sono i congegni tematici che muovono Empire, la nuova serie della Fox che a gennaio ha esordito oltreoceano con esiti lusinghieri di critica e pubblico, e da marzo debutta in Italia. Protagonista è LUCIOUS LYON, uno stagionato tycoon della black music con un armadio pieno di scheletri – figura ricalcata su quelle autentiche che oggi popolano i rotocalchi americani: Jay-Z, Dr. Dre o quel Suge Knight fondatore della famigerata Death Row Records, appena arrestato a LA con l'accusa di duplice omicidio. Quanto allo spunto di partenza, i titolari di Empire – il regista nero Lee Daniels, già lodatissimo per Precious e The Butler e il suo abituale collaboratore Danny Strong, sceneggiatore bianco – sono andati sul sicuro: Re Lear, versione urbana.

Un padre e i suoi tre figli, stavolta maschi: poiché il patriarca è malato e il suo scettro andrà al prescelto («Ma che siamo dentro Re Lear?», chiede sfrontatamente uno di loro al genitore). Lucious (un memorabile Terrence Howard) ha appena ricevuto la tremenda diagnosi: sclerosi, al massimo tre anni da vivere. D'altronde, la sua non è stata un'esistenza facile: ghetto e spaccio con la complicità della moglie COOKIE. Entrambi coltivando la passione per la musica e il sogno di aprire un giorno un'etichetta discografica tutta loro, la Empire appunto, magari finanziandola con ogni genere d'attività illegali. Adesso Lucious deve scegliere il suo erede, che sappia farsi rispettare in un mondo della musica che, visto dagli uffici della Empire, somiglia a quello dei gangster: si spara e bisogna essere duri e feroci. Chi dei suoi ragazzi sarà all'altezza? ANDRE il manager, che soffre di sindrome bipolare? JAMAL l'artista, inviso al padre per la sua omosessualità (come l'ultimo fenomeno emerso nella scena hip hop, Frank Ocean)? O il piccolo HAKEEM, che vorrebbe fare il rapper, ma è troppo viziato per essere credibile? Gli elementi del melò all'aroma di soul food ci sono tutti. I personaggi sono azzeccati, i costumi sono una delizia, le scenografie sono impreziosite dai magnifici quadri “afro-consapevoli” di Kehinde Wiley e nella storia non c'è requie, come se I Jefferson fossero resuscitati in un mondo dove i neri hanno imparato a comandare, ma hanno svenduto la propria cultura. Le uniche pause arrivano quando si canta: sempre su livelli altissimi, grazie alla supervisione musicale di Timbaland.

Daniels e Strong hanno immerso la loro “soap hip-hopera” in un gusto contemporary black, dominato dagli eccessi. Lucious è il prodotto caricaturale di un momento-chiave nella società americana: l'ascesa al potere degli afroamericani, in quello show business nel quale per decenni sono stati i protagonisti sottomessi – tanto più se si parla di musica. Oggi, non sono più solo attrazioni e saltimbanchi, ma sono imprenditori, Ceo, finanziatori, lobbisti. Con tutte le necessarie connessioni del caso: verso l'alto (la gag delle telefonate tra Lucious e Barack Obama, che lo implora d'andare a cena da lui, è una delle trovate più spassose di Empire). Ma anche verso il basso, in quel sottomondo da cui non è facile affrancarsi e dove l'hip hop è la colonna sonora del crimine.

Se c'è una sfaccettatura “bianca”, in questa divertente black comedy, sta nel sottolineare che una buona reputazione non s'improvvisa e che le mani pulite, nell'industria dello spettacolo, è difficilissimo tenerle. In ogni caso, se il futuro non appartiene a Lucious, che incarna una blackness da Ventesimo secolo, apparterrà ai suoi giovani virgulti. E non perché «hanno il ritmo nel sangue», come diceva il vecchio cliché comico, ma perché possiedono più energia e idee dei colleghi visi pallidi. Per Empire i primi risultati di audience sono eccellenti: oltre 11 milioni di spettatori, in impressionante incremento. Seconda stagione già confermata. E i tempi devono essere davvero cambiati, se un vecchio rapper, un'imitazione di Tina Turner (con un po' di Beyoncé e tanta Dynasty) e tre ragazzi neri diversamente debosciati, riescono a diventare i beniamini della tv Usa. E se l'eroe assoluto, Lucious, è la versione afroamericana del protagonista ormai abituale di una serie che si rispetti: uno che ammazza senza scrupoli e fa tutto il male necessario. Come il Pietro Savastano di Gomorra e il Frank Underwood di House of Cards. Solo i cattivi prosperano, nel mondo acido della tv a puntate di oggi.

© Riproduzione riservata