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Palme, noci e buoni frutti

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Palme, noci e buoni frutti

Laggiù, lontano lontano: là in fondo, dove lo sguardo strapiomba verso un punto di fermata opaco; laggiù, Italo Calvino puntava gli occhi per mettere a fuoco un paesino che tendeva a scolorire, e recuperare, in calce ad esso, la sagoma alonata di un amico. Ne scriveva da Torino ad Alberto Carocci, nell’ottobre del 1954. E dava consistenza e nome a quell’ombra in movimento, tra le stradine sfocate di una provincia di contadini e solfatari che le carte indicavano come Racalmuto, nel circondario di Agrigento: «Leonardo Sciascia, maestro elementare, è un giovane letterato molto intelligente che dirige laggiù una rivistina assai pulita (“Galleria”) e delle edizioncine di poesia». Due anni prima, con quell’insolito e garbato editore si era complimentato per lettera Elio Vittorini. Il suo giudizio era andato a segno come una sciabola: «Caro Sciascia, considero la Sua forse la migliore rivista letteraria che sia mai uscita in Sicilia. Con la sua sobrietà e la sua modestia, priva del tutto della jattanza ciarlatanesca e del dilettantismo archeologico che purtroppo affliggono le manifestazioni culturali nella nostra isola, mi sembra una cosa che può acquistare, a poco a poco, un senso anche sul piano nazionale». Dal suo personale «lassù», dal Friuli nel quale tornava spesso a rifugiarsi, Pasolini plaudiva alla muscolatura atletica, all’«energia» intellettuale di un poeta che si era fatto editore in terra refrattaria.

Nel gennaio del 1953, Sciascia aveva chiesto a Pasolini l’indirizzo di Roberto Roversi. «Non ricordo l’indirizzo di casa di Roversi», fu la risposta. Ma con questa aggiunta: «gli può scrivere presso la libreria Palmaverde via Rizzoli 4 (Bologna)».

La prima lettera di Sciascia a Roversi è datata 10 febbraio 1953: «Di suo, io conosco quelle bellissime poesie “per l’amatore di stampe” pubblicate in “Botteghe oscure”. Vorrei, se possibile, conoscerne altre; e pubblicarle. Ma lei forse non conosce la rivista: una modesta rassegna letteraria che si avvale però di ottimi collaboratori, e tra i più attivi sono Pasolini, Petrocchi, La Cava, Bartolini, Tobino. A pubblicarla in Sicilia, Lei potrà capire quanto lavoro ci costi». Non sembra. Eppure Sciascia, per quanto dimesso nel tono, fa eco a Vittorini. E con in mente un verso di Dante, tacitamente si dichiara orgoglioso di accollarsi la «colpa» di una attività editoriale, nuova e all'altezza dei tempi: «la colpa che laggiù cotanto costa».

Sciascia fa della sobrietà, e della modestia, delle qualità intellettuali. Ha una sua maniera dignitosa e confidenziale. Nel presentarsi a Roversi, si lascia trascrivere dalla semplicità della sua vita: «Io vivo in un piccolo paese della Sicilia, e mi muovo soltanto per fare uscire puntualmente la rivista, che si stampa a Palermo, e per un estivo e quasi rituale viaggio nel nord d'Italia: i libri e le riviste sono per me tutto»; la rivista è «un modo di creare rapporti umani, amicizia».

Era inevitabile che tra il bolognese poeta dell’eroismo umile, titolare di una libreria antiquaria, editore e animatore culturale coinvolto in due delle più importanti riviste del secolo («Officina» e «Rendiconti»), e il severo scrittore siciliano che della ragione saprà fare un uso abrasivo, affamato sempre di libri, gran collezionista di stampe ed editore, nascesse una condivisione di idee e di vita.

Sciascia e Roversi si riconoscevano a vicenda un certo calvinismo dell'intelligenza, letteraria e politica. Ne dà testimonianza il rapporto epistolare che li legò per circa vent’anni, dal 1953 al 1972. I due si scambiarono lettere asciutte, ma spesso narrativamente articolate tra confidenze personali e di famiglia, libri, rendiconti di letture, e persino doni commestibili descritti come fossero meraviglie di natura o nature morte da accogliere con partecipata ritualità. Sciascia spedì a Roversi una confezione di frutta martorana, che era tutta una leccatura di colori su pasta di mandorle. In cambio si ebbe il racconto di un quadretto di famiglia degno della pittura di Zurbarán: «Per mia moglie e mio figlio –e per me– fu una festa, quando portai a casa, reggendola per lo spago, la tua cassetta. E poi, inginocchiati per terra, in cucina –mentre aprivo l’involto– mio figlio e mia moglie battevano le mani, presi da una gioia furiosa che non so spiegare. Come se dovesse sortire, dalla scatola, chissà quale meraviglioso tesoro. E non esagero –figurati!– e non aggiungo parole. Basta: dopo un’ora, arance e noci e fichi d’india e pere erano scomparsi, addirittura divorati. E ancora ne parliamo; e mia moglie esalta la delicatezza e la squisitezza dell’impasto. Tu hai fatto una buona azione, per quel dono (io non ricevo mai doni) che ci ha fatto sentire meno soli, e con un amico vicino».

Al di là di questi capitoletti di colore, c’è un’urgenza di confronto. Sciascia e Roversi si seguono da lontano. Si leggono a vicenda. Scrive Sciascia: «Ho avuto l’“Officina” e, oggi, l’estratto con le tue poesie –belle e “nuove”. La rivista mi pare ottima nel suo primo numero, mi piace tutto, anche il pezzo di Gadda». Roversi si sofferma sulle Parrocchie di Regalpetra dell’amico: « Sto leggendo il tuo libro… Lo trovo sorprendente, vivo: un libro, direi, di carne e sangue». Né manca, in mezzo alle increspature del quotidiano, tutta una geografia di ritratti, in piedi o a busto, insieme a una frammentata enciclopedia dell’amor bibliofilo.

Alla rivista «Galleria», Sciascia affiancò una «collezioncina di quaderni» di versi e di prosa: «deliziosa», nel giudizio di Pasolini. Vi apparvero per primi Pasolini e Roversi. E poi Caproni. Sin dall’inizio della sua attività, Sciascia fu editore-scrittore. Perfezionò la sua vocazione collaborando, più tardi, con Elvira e Enzo Sellerio.

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Roberto Roversi - Leonardo Sciascia, Dalla Noce alla Palmaverde. Lettere di utopisti 1953-1972, a cura di Antonio Motta, Pendragon, Bologna, pagg. 304, € 22,00

L’AUTORE E LA JUGOSLAVIA

È in uscita per i tipi di Olschki il volume Leonardo Sciascia e la Jugoslavia. «Racconto ai miei amici di Caltanissetta della Jugoslavia e di voi: con entusiasmo, con affetto», a cura di Ricciarda Ricorda. Il volume esplora un’area ancora poco conosciuta dei rapporti dello scrittore siciliano con la cultura europea, e cioè le sue relazioni con il mondo jugoslavo: si tratta di un interesse che si manifesta a partire dai secondi anni Cinquanta, si concreta in alcuni viaggi, il primo dei quali nella primavera del 1961, e trova nell’amicizia e nella relazione intellettuale con il poeta sloveno Ciril Zlobec il riferimento più importante e duraturo. Nel volume anche una testimonianza di Giannola Nonino sull’amicizia di Sciascia con lei e sul rapporto dello scrittore siciliano con la zona di confine friulana. Info: www.olschki.it e sul sito www.amicisciascia.it