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Quel male di vivere, buffo e tragico, di Ivanov, in scena a Parma

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TEATRO

Quel male di vivere, buffo e tragico, di Ivanov, in scena a Parma

Altro che noia! Altro che sentimento di nostalgia dolce e avvolgente! Dimenticate il Čechov di tanti allestimenti ad andamento lento, introspettivo, malinconico. Anche se una noia intensa pervade i protagonisti dell'”Ivanov”, sempre in attesa che succeda qualcosa, la versione di Filippo Dini, regista e anche protagonista, ingrana subito un ritmo veloce dal quale non esce più nei quattro atti della commedia, con tempi comici ben dosati e scoppi di gaiezza che non tolgono nulla anche al dramma che si consuma.

Quello, si sa, di Ivanov, un personaggio dolorosamente negativo: un intellettuale deluso, un proprietario terriero che ha dilapidato entusiasmo, giovinezza e patrimonio in progetti di riforme il cui fallimento l'ha lasciato moralmente e sentimentalmente inaridito. Dietro il suo spleen, la sua indifferenza, il suo egoismo, s'intravvedono i resti della nobiltà, delle generosità e del fascino di un tempo. Tempo che non è il nostro, ma che con Cechov continua a parlarci. Non per l'accurata quotidianità che descrive, per noi lontana; o per le sue descrizioni inequivocabili di uomini e donne e delle loro azioni; ma perché coglie aspetti eterni dell'esistenza, caratteristiche non dipanabili dell'animo e del cuore umani. Ovvero la passione della vita, quella che palpita sotto l'involucro delle parole.

L'”Ivanov”, la prima delle grandi commedie dove sono presenti già tutti i temi che verranno svolti nelle opere maggiori dal grande drammaturgo, è senza dubbio un bellissimo testo; ma se lo si valuta alla luce della rivoluzione iniziata pochi anni dopo con “Il gabbiano” e culminata nella prodigiosa polifonia impressionistica del “Giardino dei ciliegi”, può sembrarci ancora troppo “tradizionale”, troppo legato a un realismo descrittivo e dimostrativo essenzialmente “centripeto”, con tutti i personaggi disposti a raggiera attorno all'eroe eponimo.

Dini ne fa un allestimento “centrifugo”, con i personaggi che esplodono a contatto col protagonista. C'è Lebedev, il sovrintendente della tenuta, un materialista logorroico e volgare, e la sua avida consorte; L'vov, il medico idealista che odia Ivanov rimproverandolo di irresponsabilità e disamore nei riguardi della moglie Anna malata di tisi, la quale invece lo ama e sembra costantemente impegnata a salvare l'anima del marito più che la sua salute; c'è la giovanissima Sasha innamorata di Ivanov e ricambiata, relazione che, una volta scoperta, causa il peggioramento della malattia di Anna; e l'anziano conte Sabel'skij a cui piace gozzovigliare, che non crede più a niente e ciò nonostante desidera vivere e divertirsi fino a lasciarsi corrompere dal piano escogitato dall'intraprendente Borkin, di sposare la giovane e sensuale vedova Babakina per riordinare le economie personali. La scoppiettante ma lucida regia di Dini riesce a mescolare e a fondere naturalismo psicologico, espressionismo, vaudeville, comicità, e a restituirci il fascino del linguaggio cechoviano nel continuo trapasso dalla conversazione alla lirica della solitudine. Basta appena qualche accenno per spostare il tiro, e torna a infondere al linguaggio di Čechov una leggerezza rara.

Basta anche una scenografia mobile, con le pareti che si allargano e si restringono nei quattro atti aprendo e chiudendo spazi, a dare respiro al pulsare delle parole e dei pensieri dei protagonisti e alle loro inquietudini. Si passa dalle luci in platea, avvolta nel tramonto della scena iniziale, al salotto borghese rutilante di colori, grottesco e onirico; dal piccolo studio di Ivanov, dove tutti entrano a chiedere conto della sua inoperosità, al salone desolato e deserto, svuotato di umanità, dove infine, in un concitato epilogo mentre fervono i preparativi per le nozze di Ivanov e Sasha, si consuma la tragedia del suicidio di un uomo all'origine onesto e retto, ma che poi ha fallito come se qualcosa, dentro la sua coscienza, si fosse rotto. La commedia di questo piccolo mondo tragico e beffardo, senza speranza, richiede interpreti all'altezza della situazione. E lo spettacolo ha la sua carta vincente nella grande coralità e bravura di tutti gli attori messi in campo dal regista, costruita attraverso trame, gesti dettagliati, maniacalità e scarti d'umore, che ne delineano fortemente i caratteri.

“Ivanov” di Anton Čechov, traduzione Danilo Macrì, regia Filippo Dini, con Filippo Dini, Sara Bertelà, Nicola Pannelli, Gianluca Gobbi, Orietta Notari, Valeria Angelozzi, Ivan Zerbinati, Ilaria Falini, Fulvio Pepe, scene e costumi Laura Benzi, musiche Arturo Annecchino, luci Pasquale Mari, produzione Fondazione Teatro Due, Teatro Stabile di Genova. Prima nazionale al Teatro Due di Parma.

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