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NARCISO IN CARRIERA

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RANE

NARCISO IN CARRIERA

Leggi il romanzo se ti interessa questo tema
Un giovane ebreo cresciuto tra wasp più ricchi di lui, ottimi studi, voglia di fare carriera e di conquistare ragazze interessanti, arriva a New York nella scena letteraria della costosissima Brooklyn, dove conta solo farcela, pubblicare, parlare dei propri sensi di colpa occidentali per sedurre le ragazze interessanti. Ce la potrebbe fare, lui più di altri, come può testimoniare l'anticipo di quattrocentomila dollari che ha ricevuto per il suo libro d'esordio ancora da consegnare. Se nei circoli letterari Nate sembra un filosofo tormentato dai sensi di colpa, la sua vita interiore invece si presenta come un freddo seppure impacciato sforzo di giudicare ogni donna e ogni situazione: «Ma in Elisa, la cui bellezza pareva richiedere di essere giudicata con un metro di perfezione quasi olimpico, tali imperfezioni sembravano, irragionevolmente, delle mancanze di forza di volontà o degli errori di valutazione da parte di lei». Con questa sensibilità, Nate comincia una storia con Hannah, aspirante scrittrice.

Se la premessa suona sgradevole è perché finalmente i nuovi scrittori americani stanno rinunciando alla superiorità morale degli scrittori della generazione precedente per raccontare ambizioni e piccinerie della propria. Anche l'autofiction di Ben Lerner, Nel mondo a venire (Sellerio), già recensita su IL, prende le mosse da un anticipo cospicuo e si interroga su cosa sia la “carriera” di uno scrittore americano oggi. Adelle Waldman, che esordisce scegliendo come antieroe un protagonista maschile, attraverso di lui fa fare outing agli scrittori americani all'apparenza sensibili e attenti alle donne, ma nella sostanza carrieristi e narcisi. Il tema era stato portato all'attenzione degli intellettuali americani qualche anno fa da un meraviglioso lungo articolo di Elaine Blair per la New York Review of Books: «Grandi perdenti americani». Blair sosteneva che siccome a leggere i romanzi letterari oggi sono soprattutto le donne, si crea un problema di onestà nello scrittore maschio: «Queste donne non solo sono figlie di divorziati, ma pure di un movimento femminista che ha avuto una profonda influenza sulla critica culturale: odiano i Narcisi». Allora, per farsi piacere, gli scrittori maschi giovani «smontano ogni sicurezza o autostima sessuale dei loro personaggi maschili», per evitare di somigliare a Philip Roth; «in sostanza evitano di mettere in scena il fatto che, nel mondo reale, gli uomini sono capaci di incanalare le loro energie libidiche nel potere di seduzione». Cioè, descrivi con la tua penna brillante un alter ego impacciato e poi vai a letto con la lettrice. Amori e disamori di Nathaniel P. (traduzione di Vincenzo Latronico) è il romanzo che racconta in dettaglio questo scenario. La reazione di Sheila Heti, giovane autrice canadese molto attenta ai temi caldi generazionali, è in un pezzo per la London Review of Books: «È eccitante scoprire un libro che lega appuntamenti galanti e politica. Formalmente, e non solo fattualmente, è importante che l'autore sia una donna». E se la storia di un uomo scritta da un'autrice non è una novità, ciò che colpisce Heti è che «qui sembra che non dobbiamo mai dimenticare che a scrivere è una donna». Perché se Tina Fey e Amy Poehler ai Golden Globes possono fare una battuta su Bill Cosby presunto stupratore seriale, vuol dire che le donne forse hanno finito di vergognarsi per i peccati degli uomini, e parlare dei peccati degli uomini ridiventa una battaglia politica. In Waldman, il protagonista fa schifo come i grandi narcisi americani odiati dalle femministe, John Updike e Philip Roth, e in più ha una falsa coscienza. Per la letteratura americana lo si può considerare a tutti gli effetti un nuovo inizio, un cambio generazionale.

Non leggerlo se non ti piacciono queste citazioni
In Italia c'è la brutta abitudine di recensire i romanzi senza citarli: ma un romanzo è tanto nel proprio tema quanto nel proprio stile e nelle immagini che sa ricreare, e qui è importante riportare qualche frase. Adelle Waldman non ha uno stile. Il romanzo è scritto con una lingua media, che dove vuole essere semplice è facile, e dove si crede complessa, è convoluta. «Jason si era schiacciato i ricci sulla testa con un unguento luccicante. Aveva l'aria di un cherubino satanico». Oppure: «Aurit scoccò uno sguardo affilato a Jason». Questa lingua non meraviglia, non produce bellezza, non sconvolge, non sposta. È lo standard ironico americano, da romanzo di formazione scritto con il generatore automatico. Lo si può leggere senza farci caso, se si tiene al tema trattato. E in fondo ciò potrebbe essere voluto: si è usata la lingua perfetta per il tema scelto. Se leggerlo o meno è soprattutto una questione di gusto. Ma è vero che affrontando la letteratura americana contemporanea si tende a sottovalutare questo aspetto: molti scrittori studiano dai predecessori modernisti e postmoderni, imparano i trucchi, e scrivono come un miscuglio di Carver e Wallace, di Franzen e Pynchon, senza fare vere e proprie scelte estetiche alla ricerca della propria voce. L'assenza di stile produce frasi legnose e paragrafi che non volano: «Era quasi universalmente considerata carina e intelligente, o intelligente e carina. Sul divanetto c'era una tizia che Elisa conosceva dai tempi del college. Nate non si ricordava come si chiamasse ma l'aveva incontrata troppe volte per chiederglielo. Sapeva che faceva l'avvocato. Intorno alle spalle aveva il braccio di un tizio in giacca e cravatta col mento sfuggente, presumibilmente il bancario che non vedeva l'ora di sposare». L'incapacità di scelta caratterizza non solo lo stile ma pure l'immaginario. Alcuni temi tipici, come la masturbazione, un dovere da Roth in poi, entrano nel libro senza essere filtrati da una sensibilità personale, aumentando il senso di una narrazione industriale venduta come alta: «In quegli anni, Nate-il-carino, amico delle ragazze in difficoltà, aveva dedicato ampie risorse intellettuali a questioni come la somiglianza di svariati oggetti domestici ai genitali femminili». E: «Persino qualcosa di teoricamente sublime come un pompino – il suo pene in bocca a una donna! il suo pene in bocca a una donna! – poteva rivelarsi noioso, persino un filo fastidioso, nelle circostanze sbagliate o se eseguito senza perizia». È un libro che deve leggere chi nel romanzo cerca soprattutto lo specchio della società. Chi in queste frasi non vede particolare bruttezza. Se la scrittura per te è qualcosa di più della sociologia, invece, non ti può bastare, per esempio, che per definire una cosa complessa come le amicizie intellettuali, Waldman si accontenti dell'alzo zero di questa descrizione: «Erano tutti oratori instancabili e focosi redattori di giornali universitari, e bevevano un sacco di caffè discutendo – con voci che si facevano stridule nei momenti di massima tensione – delle implicazioni allegoriche di Seinfeld». Sembra scritto da un algoritmo di Amazon, non c'è un dettaglio rivelatore.

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