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Teatro

Graffia ancora «la gatta sul tetto che scotta», con Vittoria Puccini e Vinicio Marchioni

Sono rare, in Italia, le messe in scena de “La gatta sul tetto che scotta” il dramma teatrale di Tennesse Williams valsogli il secondo premio Pulitzer - dopo quello per “Un tram che si chiama desiderio” -, che assurse anche a film di successo con Elizabeth Taylor e Paul Newman, diretto da Richard Brooks nel 1958. Si deve ad Arturo Cirillo riportarlo ora in auge in un allestimento di raffinata cura: sia per l'ambientazione pittorica di un interno domestico con evidente richiamo ai quadri dell'americano Edward Hopper, e, nello specifico, ai colori del celebre “Nighthawks”; sia per un cast appropriato d'interpreti, con principali protagonisti la coppia Vittoria Puccini (al suo debutto teatrale) e Vinicio Marchioni, ovvero Margaret e Brick, il cui matrimonio è un'infelice unione senza sesso e senza figli. Lui è un ex sportivo, ora alcolizzato, che non ha superato il suicidio del suo compagno di squadra e migliore amico, Skipper, di cui era tormentatamente e segretamente innamorato; lei, la “gatta”, che combatte il malanimo e la sterilità del marito che ama sinceramente ma non più corrisposta per¬ché egli la crede bu-giar-da e causa, involontaria, della morte dell'amico.

Su tutti incombe la figura del padre di Brick, autoritario barone terriero del Mississippi, insoddisfatto dei due figli, e condannato da un tumore del quale solo lui è inizialmente ignaro. L'equilibrio precario della coppia va in pezzi – per ricomporsi, in qualche modo, nel finale – in occasione di una riunione familiare per festeggiare il patriarca 65enne, e del confronto con un'altra coppia, apparentemente più serena, ma forse solo più ipocrita: Gooper, fratello di Brick, avvocato rampante e prolifico di prole, e la moglie Mae, decisi a strappare l'eredità del padre morente.

L'incalzare dei dialoghi e delle rivelazioni sortiranno l'effetto di una vera tempesta - anche esterna - che sconvolgerà le loro esistenze e che ha come snodo drammaturgico lo scontro tra Brick e il padre: il primo rinfaccia all'altro la sua latente omosessualità, e costui risponde prima confessando il pro¬prio di¬sgu¬sto per le men¬zo¬gne e per la fal-si-tà, poi svelandogli la gravità della malattia. Ed è a questo punto, in questo macht verbale dei sentimenti, che egli libera una fragilità e una tenerezza mai manifestata per quel figlio alcolizzato.

È, “La gatta sul tetto che scotta”, uno dei ritratti proverbiali di una famiglia anni Cinquanta che si sfalda per paranoie e asprezze da nido di vipere, contrapposti ai falsi “nidi d'amore”. Cirillo, fotografando il frantumarsi di un gruppo di famiglia in un interno, immette la storia sullo sfondo di una vicenda dei nostri giorni, anche se con una cifra stilistica che non ha particolari impennate come in altri suoi allestimenti.

Tutto si svolge in un unico ambiente, la camera da letto, con, a tratti, un'apertura verso l'esterno su una folta siepe di foglie - quasi un muro, come a impedire possibili vie di fuga, tra vociare concitato, suoni di canzoncine e giochi di bambini, ma anche sinistri grida di falchi. Evitando la trappola del melò, al quale il dramma sembra puntare, il regista misura la scansione drammaturgica con un linguaggio più asciutto, che non elimina quel lirismo tipico di Williams nella stesura originaria.

Vittoria Puccini, più che all'appeal sensuale di femmina mantide che risponde ai colpi, punta ad una felinità nervosa, ad una determinatezza di donna offesa e ferita ma mai arresa, che ben si addice alla sua prestanza, anche se la recitazione risente di una certa linearità. E Vinicio Marchioni, sia nei lunghi silenzi, che nei pensieri trattenuti e nei toni espressi, ha tutta l'intensità magnetica e la sofferenza virile nel rendere lo stato d'animo – al quale aggiunge quello fisico della postura zoppa – di chi cova il disfattismo. Si aggiunge a loro la dirompente prova di Paolo Musio, nel ruolo del padre, e Clio Cipolletta, Francesco Petruzzelli, Franca Penone, Salvatore Caruso.

“La gatta sul tetto che scotta”, di Tennesse Williams, regia Arturo Cirillo
Produzione Compagnia Gli Ipocriti e Fondazione Teatro della Pergola.

A Pisa, Teatro Verdi, dal 28/2 all'1/3; Roma, Ambra Jovinelli, dal 5 al 15/3; Bologna, teatro Duse, dal 20 al 22; Verona, Teatro Nuovo, dal 24 al 29; Lugano, Cittadella, dal 31/3 all'1/4; Napoli, Teatro Diana, dall'8 al 19/4.

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