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Oscillando sui passi del passato, la poetica confessione di Tamara Bartolini

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Oscillando sui passi del passato, la poetica confessione di Tamara Bartolini

Naufraga della vita, creatura tremula, vagante in uno spazio vuoto, nero. Si aggrappa agli occhi nostri. Ci guarda, ci fissa, ci interpella. Simile a una marionetta, con le braccia su due anelli, sospesa ora ad uno ora ad entrambi in una goffa e scomoda posizione con la testa infossata, oscillando infila i piedi in un paio di tacchi rossi posate a terra.

Parte dal resoconto di un difetto fisico al piede lo spettacolo “Passi”, un progetto a tappe e giunto ora a compimento, che vede in scena un'intensa, umanissima Tamara Bartolini con, accanto, Michele Baronio, co-regista e autore anche lui di questo diario di un'anima. Muovere i passi dopo la caduta. Ricominciare dopo il dolore. Riprendere, dopo l'immobilità, ad andare. Non è solo un movimento fisico, ma, soprattutto, dell'anima quello che Bartolini ingaggia con se stessa, creatura smarrita per senso d'inadeguatezza, in un costante tentativo di volo per guardare dall'alto la propria vita, nella continua ricerca di un consenso. Domanda: “Ti piace? Va bene così? O è meglio così? Che succede se esco? Faccio tardi?”. Si lancia, si ferma, dubita, riprende, si sposta in un altro punto della scena prendendo il microfono. Vive in un faticoso mettersi alla prova, nel continuo misurare le proprie capacità trasformative, cercando la propria identità e un'approvazione che forse non arriverà mai.

Ironica e rabbiosa, tenera e forte, tenace e fragile, figura oscillante sull'altalena dell'esistenza, muove le onde dei ricordi, le ferite del passato, le sospensioni degli accadimenti, i pensieri del presente, per dare una definizione alla vita, una risposta alle domande insolute, una luce alle ombre. E cucire strappi, riannodare fili, rimuovere pesi. È una confessione intima la sua, che richiede ascolto rispettoso. È coraggio conquistato quello di Bartolini, che vuole condividere brani di esistenza dentro la quale ci permette di entrare. È canto dolente, il suo, che vuole farsi grido da non soffocare, ma liberare in gioia. È richiesta di amore, di amare ed essere amati. Ci sono invenzioni delicatissime e sfuggenti, in questo racconto, in parte autobiografico, di parole oscillate, sussurrate e gridate. C'è la considerazione di attimi ed epifanie che possono cambiare di segno a una vita. Ci sono moti della memoria che scoprono lesioni ma anche tesori nascosti. Ci sono punture sulla pelle che richiamano pensieri profondi, persone, e vaghezze della mente. E immagini. A crearle, ispirato alla scrittura visiva della fotografa Sarah Moon, è Michele Baronio, impegnato in un angolo a suscitare, in tempo reale, oltre ai suoni, a creare artigianalmente forme oniriche densissime con una semplice lavagna luminosa che proietta sulla parete griglie e oggetti in movimento capaci di ispirare mondi fantastici che fluttuano anche quando violenti fasci di luce spengono rumori e visioni riportando alla realtà. Suscita emozioni vere la resa umana e artistica del duo Bartolini/Baronio, che hanno saputo tradurre le frustrazioni e inadeguatezze di una bambina nel suo travagliato divenire donna, in una scrittura scenica visionaria, in una drammaturgia altamente poetica. Che arriva dritta al cuore.

“Passi. Una confessione”, di e con Tamara Bartolini,
scene, luci, suoni e immagini live Michele Baronio,
canzone originale Ilario Graziano.
Produzione Bartolini/Baronio e 369gradi.
Al teatro Argot di Roma nell'ambito del progetto di stagione congiunta Dominio Pubblico.

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