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Profumo di donna nei Vangeli

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Profumo di donna nei Vangeli

«L'importanza sta nel tuo sguardo, più che nella cosa guardata». Penso che questa battuta dei Nutrimenti terrestri di Gide sia il migliore approccio all'uso di un nuovo e imponente commentario ai quattro Vangeli, tradotti e interpretati da altrettante donne esegete, la pugliese Rosalba Manes per Matteo, la campana Annalisa Guida per Marco, la marchigiana Rosanna Virgili per Luca e per l'intera cornice e curatela dell'opera e, infine, la siciliana Marida Nicolaci per Giovanni. Parlo di “sguardo” – che, tra l'altro, etimologicamente suppone anche una custodia amorosa (emblematico il derivato inglese to ward) – perché, strettamente parlando, a prima vista non sembra rilevante che l'esegeta biblico sia maschio o femmina (cosa ovvia anche per le altre discipline storico-critiche o scientifiche).

Infatti, non è forse oggettivamente uguale lo statuto epistemologico dell'approccio alla “cosa guardata”, cioè al testo evangelico? In realtà, c'è un elemento ermeneutico particolare che è appunto lo “sguardo”. Certo, esso – come accade per i filtri visivi – può deformarsi per eccesso o per difetto o per differente morfologia. Così, si è configurata un'esegesi (e una teologia) femminista che ha “guardato” le Scritture Sacre con una lente molto colorata di rosa, già a partire dall'Ott ocento: basti sfogliare The Woman's Bible in due volumi, apparsi a New York rispettivamente nel 1885 e nel 1898. Ma da lì è fluita anche una corrente vivace, spesso tumultuosa, che ha inondato il territorio esegetico-teologico che era considerato riserva di caccia degli studiosi maschi, soprattutto ecclesiastici.

Qual è, dunque, questo “sguardo”, o se si vuole, il taglio specifico di questi commenti a quei quattro libretti che cumulano nell'originale greco solo 64.327 parole, ma che hanno prodotto intere biblioteche e le 1.700 pagine del tomo che abbiamo ora tra le mani? Diciamo subito che anche queste letture femminili variano ovviamente secondo i diversi stili personali delle autrici. Tuttavia il metodo generale è abbastanza omogeneo e rivela alcune opzioni generali. Preferisce innanzitutto «la lettura sincronica che ha il grande vantaggio di dare un'interpretazione dei macrotesti evangelici». Le mappe iniziali, preposte a ogni Vangelo, fanno subito balenare questi “macrotesti”: l'esegesi si fa, così, “narrativa” (non però, nel senso stretto narratologico) e, quindi, fluente, segnata già da un discorso continuato nel quale sono frammisti i significati teologici, gli spunti tematici e soprattutto le attualizzazioni esistenziali o pastorali.

Si depone in tal modo il manto classico delle “note in calce”, certamente più puntuali e ficcanti ma meno adatte a rivelare l'unità delle pagine, del loro discorrere e della loro comunicazione vitale. Un'altra caratteristica derivata è l'indubbia funzionalità del commento al tenore globale del testo, operando un passaggio dalla mera “informazione” sul messaggio alla scoperta della viva “performatività” dello stesso. Si guadagna, cioè, anche in freschezza, lievità ed efficacia, pur col rischio che talora sia in agguato qualche stilla di enfasi esistenziale. Un esempio preso a caso dal commento a Luca 23 sulle donne lamentatrici che seguono Gesù verso il Calvario. Già il titolo «Lacrime a primavera» è più da “fiction”, ma anche la pur intensa lettura della pagina sconfina nell'eloquenza: «Le donne hanno il coraggio di un altro esodo. Con un segno di croce nell'anima: i figli sciupati, disprezzati, giovinezza di vita al massacro. Snaturamento. Orrore. Le donne sono il resto d'Israele che si accosta pietoso alle brecce della città distrutta, per trasformarle in altari di speranza».

Certo, è lo scotto necessario da pagare anche al fatto che i Vangeli non sono testi asettici, e il loro Cristo – per usare un'espressione del famoso teologo martire sotto il nazismo Dietrich Bonhoeffer – «non è solo per sé ma nel suo riferimento a me. Il suo esser-Cristo è il suo esser-pro me». Legittimo è, perciò, anche il vibrare del dettato di queste pagine, il loro essere ardenti e attraenti, anche adottando i canoni dell'attualità linguistica. Esemplari sono i titoli dei vari brani. Anche qui scegliamo a caso. La «banalità del male», ad esempio, rubrica il processo a Gesù, quando egli va a finire pure «nella tana del lupo», cioè nell'assise sinedrale, mentre si consuma «la triplice amnesia» di Pietro nei confronti del Maestro, alla quale però succedono «il ricordo e il pianto del risveglio». Significativa è l'evocazione della regalità paradossale del Cristo condannato, il «re che non ama i cavalli» (ma gli asini), soprattutto nel quarto Vangelo: «La passione e la morte del Re» approda alla scena finale quando «il corpo del Re viene accolto e deposto». Da allora c'è l'alba di Pasqua ove «discepoli e discepoli sono con le ali ai piedi» e ormai si apre «il cielo sopra Betania» dell'ascensione, mentre la stupenda scena di Emmaus è scandita da una trilogia simbolica incisiva: «la strada, la casa, la mensa».

Tuttavia, anche in questo caso, il tenere sempre vivace, vigorosa e fin briosa la titolatura esplicativa, rispetto alle scialbe didascalie dei soliti commenti, può debordare in qualche ingenuità, come nel denominare il Battista The forerunner o nell'accompagnare l'affacciarsi di Gesù sulla ribalta pubblica col suo battesimo al Giordano con un «Ladies and Gentlemen!» O ancora nel definire lo Spirito divino come «marker d'identità» per Gesù che viene spinto sul «setting esotico» delle tentazioni sataniche, oppure titolare il c. 14 di Luca con un canoro «sapore di sale». Resta, comunque, coraggioso questo costante riavvicinamento del dettato antico alla “periferia” odierna del lettore, liberando l'esegesi e l'approfondimento dalle volute d'incenso, dai lessici inamidati, dalle categorie autoreferenziali degli esegeti tradizionali.

Naturalmente specifica di questo sguardo è l'attenzione alle molteplici pagine “femminili” dei Vangeli che acquistano fragranze inedite nelle riletture qui proposte. In questa linea, Rosanna Virgili, in finale, traccia un bellissimo excursus sulle «presenze femminili nei Vangeli», i cui capitoli – contrariamente all'opinione corrente – sono appunto affollati di donne, anziane e ragazze, madri, suocere e figlie, ebree e straniere, prostitute e borghesi, naturalmente a partire dal volto femminile più intenso, Maria, la madre di Gesù. Il titolo, a prima vista provocatorio, è giustificato da un evento evangelico reiterato che non è necessario citare: «Profumo di donna». Ma anche qui nell'immaginario di molti esso resta forse inchiodato nella memoria piuttosto il rimando all'omonimo film di Dino Risi con Vittorio Gassman o del “remake” Scent of Woman di Martin Brest con Al Pacino, entrambi derivanti dal romanzo Il buio e il miele di Giovanni Arpino... Rimane, comunque, genuina la necessità di varcare i confini del linguaggio stereotipato di stampo ecclesiastico.

A questo punto sarebbe interessante puntare il microscopio sulle scelte specifiche di traduzione e di esegesi, aprendo confronti con esperimenti paralleli. Non dimentichiamo, infatti, che lo scorso anno sono apparsi almeno due commenti integrali ai Vangeli, quello più essenziale e discorsivo curato da Camille Focant e Daniel Marguerat (Dehoniane) e quello più filologico-critico di Klaus Berger (Queriniana), dei quali abbiamo dato conto in queste pagine. Non potendo qui inoltrarci in un orizzonte così specifico, concludiamo ricorrendo a una considerazione di Péguy, giustamente assunta da una delle quattro autrici quasi a vessillo di questo “sguardo” sui Vangeli: «Gesù non ci ha dato affatto parole morte da chiudere in piccole scatole e conservare in olio rancido... Ci ha dato parole vive da nutrire, le parole di vita non si possono conservare che vive... ed è da noi che dipende di farle intendere nei secoli dei secoli, di farle risuonare».

I Vangeli a cura di Rosanna Virgili. Traduzione e commenti di Rosalba Manes, Annalisa Guida, Rosanna Virgili, Marida Nicolaci, Ancora, Milano, pagg. 1.700, € 55,00

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