Cultura

L’Islam gentile del sultano Qaboos

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L’Islam gentile del sultano Qaboos

  • –Ugo Tramballi

Viaggiatore, turista o uomo d’affari, chiunque la visitasse avendo una conoscenza del mondo arabo, scoprirebbe immediatamente la prima qualità di Muscat e dell’intero Oman: il suo Islam gentile. A partire da al Ghubrah e Ghala, la grande moschea che il sultano ha “donato al popolo” quasi quindici anni fa, nel trentesimo anniversario della sua salita al trono. Tolte le ore della preghiera, tutti la possono visitare e fotografarne ogni dettaglio, limitandosi a portare “un abbigliamento decoroso”. Le turiste che all’ingresso comprano hijab e chador, fasciandosi di nero, non lo fanno perché costrette ma per una infantile sindrome da Lawrence d’Arabia.

La seconda qualità di Muscat è di essere l’unica capitale del Golfo a crescere in orizzontale, con edifici per lo più anonimi, sorti sin dal progetto con lo scopo di non stupire, ma coerenti con la scarna storia del Paese. Non c’è un solo grattacielo che testimoni l’arabità petrolifera come a Riyadh, Jeddah, Dubai, Abu Dhabi, Doha, Manama. L’Oman non galleggia sulle immense riserve energetiche di alcuni suoi vicini, ma gas e petrolio garantiscono pur sempre il 45% del Pil e l’86 degli introiti dello Stato.

La terza e più clamorosa specificità per la cultura, le tradizioni e la prolificità dei monarchi della regione, è che Qaboos bin Said al Said, quattordicesimo sultano, Masdar al-qawanin, “fonte di tutte le leggi”, non ha eredi. Se avesse avuto femmine non avrebbero potuto ereditare, ma Qaboos non ha generato nemmeno quelle. Niente, nessun figlio. E non ha nemmeno un fratello. L’opposto della vicina Arabia Saudita dove il fondatore Abdulaziz ha avuto 16 mogli ufficiali e una cinquantina di figli maschi che dal 1952, l’anno della sua morte, si avvicendano al trono. L’ultimo, Salman, è diventato re poche settimane fa dopo una discreta ma cruenta lotta di palazzo per impedire che i figli del vecchio re Abdullah, prendessero il potere a scapito dei figli e dei nipoti del nuovo.

Anche se è il quattordicesimo della dinastia degli al Bu Sa’idi che nel XVII secolo cacciarono i portoghesi, Qaboos è il vero fondatore dell’Oman come Abdulaziz lo fu dell’Arabia Saudita. Quando diventò sultano nel 1970, nel Paese non c’erano scuole né ospedali e solo 10 chilometri di strade asfaltate. Aiutato dagli inglesi dai quali era stato educato all’accademia militare di Sandhurst, Qaboos prese il potere all’età di 29 anni, spodestando il padre che lo teneva agli arresti dentro il palazzo, temendone le idee moderniste. Non fu un golpe del tutto pacifico: nelle sale della residenza del vecchio sultano volarono le pallottole. Shakespeare non è passato solo per Muscat: anche in Qatar l’emiro Hamed al Thani (ugualmente educato a Sandhurst) nel 1995 mandò il padre in esilio a Roma, usando la forza dei suoi reparti speciali. E senza dare così nell’occhio, in molti altri regni ed emirati del Golfo la successione tra fratelli, fratellastri, zii e nipoti, non sempre è indolore.

Monarchia o repubblica, negli Stati mediorientali c’è un solo uomo al comando e la sua presenza è pervasiva. Piazze ed edifici sono pieni delle sue immagini. In Oman, se possibile, è molto di più. Oltre che ruler, Qaboos è primo ministro, ministro degli Esteri e delle Finanze, comandante in capo delle forze armate e governatore della Banca centrale. Il 70% degli omaniti, quattro milioni, lavora nel settore pubblico: cioè sono suoi dipendenti. Il giorno della festa nazionale è il suo compleanno, l’inno dell’Oman ne esalta le doti e la Costituzione lo chiama “Simbolo di unità nazionale, suo guardiano e difensore”. Come spiega l’esperto della regione Mark Valeri in uno studio del Carnegie Endowment di Washington, Qaboos «ha conquistato la lealtà» del suo popolo «costruendo uno Stato e un’identità nazionale centrati su se stesso».

Ma il sultano taumaturgo che diversamente dal vicino e caotico Yemen, ha normalizzato tutti i capi tribù trasformandoli in impiegati statali con salario da dirigenti, non ha eredi e ora, a 74 anni, è molto malato. Non appare in pubblico da luglio, quando andò a Monaco di Baviera per una serie di test medici. Non si è visto a novembre per le celebrazioni del compleanno-festa nazionale né a gennaio in Arabia Saudita, al funerale di Abdullah: esserci era un obbligo per tutti i monarchi sunniti del Golfo. Il sultano è malato e non ci sono eredi. Non solo figli né fratelli: forse immaginando una qualche forma d’immortalità, in più di 44 anni di potere Qaboos si è guardato dal nominare ministri i parenti più stretti, per impedire che qualcun di loro vantasse poi un diritto di successione.

Dietro Qaboos c’è il vuoto. La legge di successione, scritta da lui stesso, restringe genericamente la cerchia dei candidati ai discendenti “maschi e musulmani” di Turki, il trisnonno del sultano. Quella legge stabilisce anche che in assenza di un erede, un non meglio identificato consiglio della famiglia reale fino ad ora mai convocato, dovrà individuare il nuovo sultano entro tre giorni dalla morte del vecchio. Se non ci riesce – Qaboos deve esserne certo – un altro consiglio ma di difesa aprirà la lettera sigillata dallo stesso sultano, nella quale è scritto il nome del suo successore. L’ombra di Qaboos si stenderà sull’Oman fin oltre la sua morte, dunque.

Anche se a quel punto non sarà più un suo problema, non è detto che gli ordini del sultano saranno ascoltati dal placido Oman dall’Islam gentile. Il 25% degli omaniti ha meno di 18 anni, il 45 meno di 20, il 56 meno di 25 anni. Anche se la gran parte della popolazione non ha mai visto altro, non tutti pensano che il Paese possa ancora essere governato così. Illuminato in politica estera, cultura ed economia, Qaboos regnava emanando direttive che non prevedevano contributi di ritorno: ci sono ministri che non hanno mai incontrato il sultano.

Nel 2011 anche qui ci fu una Primavera, le proteste continuarono per quattro mesi. Nella città di Sohar, il fulcro delle dimostrazioni, Qaboos ora sta facendo costruire una zona industriale da 15 miliardi di dollari che darà lavoro a 30mila persone. Per fare un esempio, a Daraa, la città siriana dove iniziarono le proteste, Bashar Assad mandò i carri armati a radere al suolo case e moschea. Ma anche nelle carceri di Qaboos sono stati chiusi centinaia di oppositori. Un giorno sfortunatamente non più distante, quando si andrà alle buste per conoscere il nuovo sultano, forse l’Oman vorrà dire la sua. Sarà un momento importante per questo dolce e accogliente Paese affacciato su un mare cristallino e su Hormuz. Importante anche per il resto del mondo che da quello stretto vede passare il 40% del petrolio che consuma.

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