Quando arriva a Londra, nell'agosto del 1914, nell'imminenza della Prima Guerra mondiale, T.S. Eliot (1888-1965), nato e cresciuto sulle rive del Mississippi da una famiglia originaria del New England, non sa ancora che la sua prima missione sarà quella di farsi inglese; sa solo che non vuole fare il professore a Harvard, da dove proviene, nonostante per il dottorato manchi solo la discussione della tesi e i suoi professori George Santayana, William James e il visiting Bertrand Russell lo considerino ormai un «potenziale collega».
Ha 24 anni e una manciata di fogli dove ha scritto qualche poesia, che l'amico Conrad Aiken fa avere al connazionale Ezra Pound, che a Londra vive ormai da qualche anno. Pound, nel giro di un mese, manda le poesie alla rivista «Poetry», e da lì nasce una collaborazione che avrà un effetto dirompente sugli esiti della poesia anglo-americana. Intanto, per accelerare il suo ingresso nella società inglese, e per «tagliarsi i ponti alle spalle», Eliot prende moglie, Vivienne Haigh Wood, una bellezza conosciuta solo tre mesi prima a un party. Per vivere insegna alle scuole serali e scrive, quando capita, sulle riviste letterarie: una vitaccia; tanto più che Vivienne, molto cagionevole di salute, si rivela anche mentalmente disturbata. Gli sposi dividono un appartamento con Bertrand Russell, che, nelle frequenti assenze di Eliot, si occupa molto di Vivienne, senza che la poveretta possa trarne vantaggio, anzi.
Le cose migliorano un po' per Tom, come lei lo chiama, quando nel '17 trova un posto fisso: un poliglotta, come lui, non ha solo il vantaggio di poter leggere le opere letterarie nelle lingue originali, comprese quelle morte e quella di Dante e degli stilnovisti, ma anche di poter assumere un dignitoso incarico presso l'ufficio esteri della Lloyd Bank. E il poeta può riprendere il suo lavoro, alla sera e nei fine settimana, traendo slancio dalla pubblicazione del Prufrock, un primo assaggio del nuovo stile modernista, tra flusso di coscienza e virtuosismo linguistico, dal ritmo sincopato che lo apparenta alla pittura cubista.
La convivenza con Vivienne fa emergere anche in lui dei disturbi, ricorrenti, di abulia, al punto da richiedere una sosta di tre mesi in una clinica di Losanna. Una sosta preziosa per rivedere e completare un poemetto iniziato nel 1919, La terra desolata. Sia all'andata che al ritorno, si ferma a Parigi per salutare Pound, trasferito a Parigi, e qui incontra Joyce. A prima vista, i due hanno ben poco in comune, se non lo stato di esuli volontari: Eliot, con la sua figura slanciata, sottolineata da un impeccabile abito di sartoria londinese, e il tratto compito di bostoniano d'elezione; Joyce, piuttosto scalcagnato, con ai piedi un paio di fruste scarpe da tennis e un cappellino sulle ventitré. Eppure, non si sa se per una felice congiunzione degli astri, saranno accomunati, da lì a due anni, durante i quali non si perderanno mai di vista, dal doppio evento letterario più significativo del secolo: nell'autunno del 1922 escono, a distanza di una sola settimana, L a terra desolata e Ulisse, omologhi, quanto a eversiva innovazione, nei campi rispettivi della poesia e del romanzo. La terra desolata è dedicata a Pound, «il miglior fabbro» (citazione dantesca), per riconoscenza del robusto editing da lui operato a dare forma definitiva, più snella e articolata, alla composizione. Dopo una prima edizione, di qua e di là dell'Atlantico, la versione in libro, pubblicata dalla Hogarth Press degli amici Leonard e Virginia Woolf, vende nei primi sei mesi 330 copie. D'altra parte, il pubblico tradizionale dei lettori di poesia non era pronto ad accogliere un'opera nella quale venivano usate sette lingue, compreso il sanscrito, e le cui fonti di ispirazione procedevano bensì dal mito del Graal e del re Pescatore, ma anche Dante e Il ramo d'oro di Frazer e i seminali simbolisti francesi e Wagner, Ovidio, Shakespeare, Milton, le Upanishad… In un mosaico di citazioni, echi, risonanze, imprestiti, allusioni, parafrasi, pastiche, che gli valse l'accusa di plagiario dai detrattori.
Alla Terra desolata seguiranno altre composizioni, maggiormente ispirate al tema cristiano della salvezza, tra cui Mercoledì delle ceneri e i Quattro quartetti decisivi, questi, per l'assegnazione del Nobel nel 1948.
Sconcertato, ma non sorpreso, dal clamore critico suscitato dalle sue poesie e dai primi saggi (Il bosco sacro, 1920), con l'esigente Edmund Wilson ad aprire il folto drappello degli estimatori, quasi tutti appartenenti all'area liberal, Eliot sente il bisogno di precisare di essere in realtà «classicista in letteratura, monarchico e cattolico-anglicano». Il suo peggior nemico non poteva escogitare una formula più efficace per alienargli la simpatia dei suoi lettori più sensibili agli aspetti politici e ideologici.
Nel '25 ha l'opportunità di lasciare la banca per un lavoro più consono presso la casa editrice Faber&Faber, di cui diventerà presto direttore editoriale, con un'attenzione naturale per i poeti, tra cui W.H. Auden, Stephen Spender, Pound, Robert Lowell, Ted Hughes, Sylvia Plath. Con un incidente di percorso, forse non del tutto volontario, quando con un'elegante, ambigua lettera (non infrequente nella pratica editoriale) restituisce a George Orwell il testo della Fattoria degli animali in odore di trotskismo. Siamo nel '44 e Stalin in quel momento è un indispensabile alleato.
Alla produzione teatrale, che compone in versi, Eliot approda con l'intento di allargare l'udienza limitata dei lettori di poesia. Ed è attraverso il teatro che Valentino Bompiani lo introduce in Italia con Assassinio nella cattedrale nel 1947, un anno prima del Nobel: un long seller, come le Poesie (1961), curate da Roberto Sanesi con il meraviglioso testo inglese a fronte.
T.S. Eliot ha attraversato imperterrito la fortuna ondivaga (ancora oggi a cinquant'anni dalla sua scomparsa) che lo riconosceva, di volta in volta, profeta dell'avanguardia o reazionario, confessionale rappresentante dell'accademia. Se n'è andato poco prima che i venti del '68 spazzassero via, fortunatamente non per sempre, il canone della tradizione. Per non dire delle ebetudini del politically correct successivo, quando si prova a diagnosticargli una presunta sessuofobica misoginia perché nel suo immaginario poetico appare più funzionale una Lilith assatanata invece di una soave Beatrice; o si indugia sul suo antisemitismo di maniera, qua e là ricorrente, certamente non di istinto persecutorio, piuttosto di opposizione culturale a quegli ebrei ritenuti inclini al «libero pensiero», quindi atei, quando non comunisti. (Tra i quali potremmo includere, ma non è Eliot a nominarli, i suoi critici Harold Bloom e Cynthia Ozick.)
Quanto al suo rammarico per la scarsa redditività, in termini di diritti d'autore, della poesia, avrà sicuramente colto, dal suo posto in paradiso, dove meritoriamente alberga, magari accanto, ancorché guelfo, al ghibellino Dante, la pioggia di royalties che, a partire dall'81, il geniale Andrew Lloyd Webber gli ha procurato, mettendo in scena a Broadway Cats, il musical tratto dal suo giocoso Il libro dei gatti tuttofare. Uno spettacolo che sta ancora girando per il mondo e i cui benefici sono andati, fino al 2012, anno della sua scomparsa, a Valerie Fletcher, la sua seconda moglie. Si erano sposati nel '57 quando Tom aveva 68 anni e lei 30, ma avevano già otto anni di consuetudine essendo Valerie la sua segretaria. Questo almeno era stato un matrimonio sereno e a lei va il merito di avere promosso e curato l'edizione postuma di cinque volumi delle Lettere.
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