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Brunori, la srl che conquista i teatri italiani

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Brunori, la srl che conquista i teatri italiani

Questo articolo inizia con un'ammissione di colpa, prosegue con un senso di sollievo, si chiude con lode. Il teatro Dal Verme di Milano venerdì 13 era tutto esaurito, pieno di persone che avevano più o meno l'età di chi scrive e di chi era sul palco. Dove sono tutti? ci si chiede di solito, un dove oltre Facebook s'intende. Questi tutti, un teatro pieno almeno, applaudivano con liberatorio calore Dario Brunori che ha 37 anni, viene dalla provincia di Cosenza, conosce la scrittura e i suoi vizi «sono nato a Joggi, Joggi vuol dire viole, vabbè questa cosa che vuol dire viole la taglio anche se poi, a voi pubblico piace». Il nome d’arte è Brunori Sas, società in accomandita semplice, forma societaria dell'impresa di famiglia che guidava prima di vincere i premi Ciampi e Tenco. Lo spettacolo si chiama “BRUNORI SRL: una società a responsabilità limitata”, canzoni e per la prima volta monologhi. Fa ridere, il resto del pubblico già lo sa.

Il look di Brunori è una vaga dichiarazione d’amore a Groucho Marx, peccato la deriva hipster della barba; la prima vita una laurea in economia e commercio a Siena, 19 in economia aziendale, forse meritava qualcosa in più: il passaggio dalla sas (società di persone) alla srl (società di capitali) è crescita non solo economica, racconta, su altri aggettivi con pudore sorvola. Sulla responsabilità no, si tratti del gioco di parole con limitata, o della frase di Sartre «presa da internet» che spunta fra una battuta e bellissime canzoni ( qui Mambo reazionario e Pornoromanzo e Arrivederci Tristezza).

Sartre rimane però solo un trattino che unisce i racconti di un indefinito noi oggi e della sua famiglia («ai tempi di mio nonno i giovani non esistevano, quando mia madre ebbe le mestruazioni, lui buttò le bambole nel fuoco e le disse: tu coi maschi non ci giochi più. Voglio essere vostro nonno»). Di lui seienne che assiste allo scannamento del maiale ma «i cartoni giapponesi no, vietati, troppo violenti». Del successo «mentre sono da Brico guardo Facebook e leggo il post di una fan “la tua canzone è diventata la mia canzone d'amore”. Mi chiedo: rispondo? come rispondo? e sei poi pensa che sono umile?»

Brunori è certo consapevole, quando nomino Rino Gaetano precisa che in comune al massimo c’è «la modalità, l’attitudine». Altri impegnativi paragoni non ha senso farli, li userebbe nel monologo quando parla dei titoli di giornale e può tranquillamente vivere della bravura sua. «Io parto da me nel bene e nel male» mi dice, e a teatro arriva alla «meravigliosa idea radical chic della povertà senza i poveri», lo «zoccolo duro del metal in provincia», Masterchef «umiliazioni come in Full Metal Jacket», il Marchese del Grillo di Sordi contro il «Loser» di Beck, il calo demografico «non faccio un figlio perché poi non vado più alla mostra, niente viaggi all'estero. Ma poi, lo stesso non faccio niente di tutto ciò. E poi, il figlio, una volta era una risorsa, ora è un costo: 171mila euro dalla culla ai 18 anni». Al pubblico racconta il momento in cui non potè più fare a meno di prendersi responsabilità «a un certo punto della mia vita ho venduto cemento: è stato scioccante? sì, è stato brutto? no»; da quel momento-cemento può essere sia nata questa Rosa.

In platea lo si ascolta con un certo sollievo che diventa giubilo quando durante l’intervista, alla rituale domanda, insomma alla parola “generazione”, risponde «penso che le mie cose piacciano a persone nella stessa fascia d’età». Questa fascia d’età pare assalita da un senso di colpa, dice lui a teatro, lo scrive nel suo romanzo una coetanea americana, gli dico («aveva un rapporto di lungo e intimo corso con il senso di colpa», Adelle Waldman, Amori e disamori di Nathaniel P., Einaudi). Una sensazione che non avrebbe motivo d’essere, in effetti, casomai il contrario vista la crisi, la precarietà e blablabla. Brunori mi ricorda una certa educazione instillata a molti da piccoli (l’album si intitola “ Il Cammino di Santiago in taxi”) e «quella sensazione di non riuscire a fare nulla» da grandi. Nel monologo lui la risolve giocando, tirando un filo fra questo misterioso senso di colpa e l’insopprimibile voglia di dare la colpa a qualcuno, per tutto e per niente in particolare. «Datela a me» chiude. Applausi.

Brunori Sas band: Stefano Amato, Dario Brunori, Dario Della Rossa, Simona Marrazzo, Massimo Palermo, Mirko Onofrio.

“BRUNORI SRL: una società a responsabilità limitata”
Teatro Morlacchi di Perugia (20 marzo) , Teatro Duse di Bologna (23 marzo), Teatro Toniolo di Mestre , Venezia (24 marzo) , Auditorium Parco della Musica (Sala Sinopoli) di Roma (26 marzo), Teatro Politeama di Prato (27 marzo), Teatro Biondo di Palermo (31 marzo), Teatro Metropolitan di Catania (1 aprile), Teatro Rendano di Cosenza (2 aprile) , Teatro Showville di Bari (3 aprile). www.brunorisas.it.


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