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1995 - Quella meravigliosa annata di cinema

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YOLO

1995 - Quella meravigliosa annata di cinema

Nel 1995 il festival di Cannes presentava tre film che, a distanza di vent'anni, sono ancora ritenuti paradigma di eccellenza cinematografica: fuori concorso esordiva I soliti sospetti, secondo film di Bryan Singer, appena trentenne; in competizione c'erano L'odio, manifesto del ventottenne Mathieu Kassovitz contro la ghettizzazione metropolitana, e Underground, il magnum opus di Emir Kusturica in veste di cantore ubriaco delle sofferenze dell'ex Jugoslavia tra la Seconda guerra mondiale e i primi anni Novanta. Andrà a lui la Palma d'Oro, la seconda della sua carriera dopo Papà è in viaggio d'affari; ma tutti e tre i film, così distanti per stile e temi, sono considerati autentici instant classic, e le parabole successive dei registi raccontano come quel potere affabulatorio sia ritornato sempre più raramente sul grande schermo.

I soliti sospetti, con la sua struttura a scatole cinesi e l'intreccio in cui nulla è ciò che sembra, è il thriller cerebrale per antonomasia, guilty pleasure cinefilo che, assieme alla controparte nerissima Seven di David Fincher, sempre del 1995, ha rappresentato per anni l'esperienza che coppie e gruppi di amici cercavano invano di ritrovare tra gli scaffali delle video-teche. Da allora Singer non ha più ricreato la magia di quel film, convertendosi in regista di film di supereroi vagamente di qualità (la serie dei film sugli X-Men); Kassovitz e Kusturica, invece, non hanno più replicato il successo di quell'annata: il primo, persa la visceralità e il controllo perfetto dell'economia di mezzi de L'odio, si è perso nel volersi imporre come autore da grandi numeri, prima scontrandosi con gli studios hollywoodiani e poi mandando a quel paese il cinema francese per la poca attenzione ricevuta; Kusturica ha lavorato sempre di meno, come se nelle tre ore di Underground avesse esaurito quello che aveva ancora da dire.

Ma è tutta la grande industria che da allora ha abbassato le pretese, sperimentando meno e investendo quasi solo su film sicuri: in un'era “pre-franchise” come il 1995, il traino erano più gli autori che l'insistenza su un immaginario pre-esistente, e la ridotta quantità di input pre-banda larga faceva sì che la sala cinematografica fosse ancora un luogo di scoperta. Nel 1995 sono usciti, oltre ai film menzionati, Casinò di Martin Scorsese, Via da Las Vegas di Mike Figgis, Heat - La sfida di Michael Mann, Kids di Larry Clark, Doom Generation di Gregg Araki e Prima dell'alba di Richard Linklater; film diversi tra loro, ma che esprimevano l'urgenza di un'epoca in cui i grandi temi – Soldi, Amore, Dipendenza, Aids, Perversione, Destino – non si usuravano nel breve corso della proiezione per giornalisti. Il fatto che i tre film di Singer, Kassovitz e Kusturica non invecchino è testimonianza tanto del loro valore quanto dell'epoca da cui provengono: adesso che la paranoia cyberpunk, di cui parlavano altri film del 1995 come Strange Days e Johnny Mnemonic, si è più o meno tradotta nell'ideologia dell'accesso alle informazioni, il cinema fatica a parlare a un pubblico che arriva in sala già sazio di tweet e di clip dei protagonisti che ridacchiano nei vari late shows. Vent'anni fa gli studios erano meno ossessionati dall'accaparrarsi la paghetta dei teenager in libera uscita; vent'anni fa si pensava a tutte le fasce di età, e magari si aveva anche una concezione migliore di quello che gli stessi teenager volevano. Gli autori erano più liberi di inventare i propri mondi, sapendo che a volte si può anche sbagliare. E che anche i fallimenti, a riguardarli, possono raccontare belle storie di ambizioni, sogni, deliri creativi. Lo diceva Paolo Conte in una sua canzone: «Era un mondo adulto / si sbagliava da professionisti».

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