La musica oggi fa paura. Tutti sanno fare tutto, esistono almeno ottanta Micah P. Hinson diversi, ogni tag ha prodotto nuove band e nuovi cantanti per vecchi sound, è difficile trovare il proprio eroe personale. Ma io l'ho trovato e si chiama Amen Dunes, moniker di Damon McMahon. Gli ultimi due dischi e un EP di Amen Dunes sono fantastici e Damon McMahon ha una storia strana che dice tutto su cosa è la musica oggi. Partiamo dal sound. A gennaio è uscito COWBOY WORSHIP EP: contiene quattro versioni alternative di pezzi del disco prima e una cover di Tim Buckley.
Il disco prima, LOVE, del 2014, è un capolavoro. Comincia con una chitarra acustica che prova gli accordi fuori tempo mentre l'altra tiene il tempo. Da qui, la canzone inizia piano piano, coagulandosi grazie a un drone di fondo, forse di fiati, che fa un po' colonna sonora di Inception. La prima canzone, come molto del disco, sta in ammollo nei bordoni come una zuppa di pesce cambogiana devastata da citronella e peperoncino. C'è Syd Barrett ma pure i Beatles, Lennon solista, il Van Morrison di Astral Weeks. Tutti però in versione sbiadita come uno zaino legato sul tetto di un pulmino. I testi non so di che cosa parlino perché si mangia le parole. Nel pezzo più famoso del disco, Lonely Richard, sembra di sentire le viole di John Cale su Venus in Furs. Le corde delle chitarre schioccano, ma non c'è la solita atmosfera acustica viscida da localino con le finte lampade antiche: è un altro mondo, sempre di chitarra e melodie, ma sporco, acido e perduto. La copertina del disco è un cielo al crepuscolo, una donna a seno scoperto su una barca su un fiume. Il disco sembra registrato a Phnom Penh invece che, com'è stato, a Montreal insieme a membri dei Godspeed You! Black Emperor.
La storia di Damon McMahon è bella quanto la sua musica. Nasce come leader di una band inutile, gli Inouk, che una decina di anni fa dovevano spaccare nella scena di Brooklyn. Il blog Free Williamsburg (ahahahah) scriveva: «Qui a FW è il nostro lavoro far conoscere le nuove band che stanno per spaccare nel mondo indie. Inouk è una di queste. Portano alla gente la musica psichedelica. E il 2004 è stata la summer of groovy love power». Era l'epoca dei blogger, Myspace, le buzz band di cui tutti parlavano e che passavano di moda prima ancora di sfondare per l'isteria dei cacciatori di tendenze. Gli Inouk flopparono. La psichedelia inglese rifatta tipo bambino a lezione di solfeggio, i suoni un po' Madchester, potevano valere come sorpresa nella scena neo-new wave della Brooklyn di inizio secolo, ma sentiti adesso sembra solo che scimmiottino i Black Rebel Motorcycle Club. Damon McMahon si mise a registrare un disco solista col proprio nome, Pitchfork gli mise circa 3. Le chitarre erano precise e scialbe, la voce perfettina, tutto uno sforzo di fare la mossa giusta.
Si ritirò in montagna, sulle Catskills, per registrare da solo cose più sporche, improvvisate. Un amico gli disse che valevano qualcosa, Damon le spedì a un'etichetta, vennero ascoltate un anno dopo. Era il primo disco come Amen Dunes, solo che McMahon nel frattempo si stava trasferendo in Cina. «Ero bruciato», ha detto anni dopo a The Quietus, «stufo di New York, stufo dell'ambiente musicale. Erano cinque sei anni che mi sbattevo e volevo prendermi una pausa, volevo fondare un'etichetta in Cina». Torna dalla Cina e finalmente la sua musica ha qualcosa di vero, di più personale e inafferrabile. Viene messo sotto contratto da Sacred Bones, una delle migliori etichette indie newyorkesi e americane, e fa un disco apprezzatissimo dai critici, Through Donkey Jaw, a proposito del cui flop spiega, sempre a The Quietus: «Mentirei se dicessi che non mi ha frustrato e sorpreso. È molto più pop del primo, e l'etichetta è più importante…».
Io a questo punto della vita di flop ne so abbastanza e perciò Amen Dunes è la mia band. Quando arriva il trionfo con Love, l'anno scorso, l'esperto di flop Damon McMahon ha subito un'idea geniale: fare un EP ridondante con gli stessi pezzi di Love e tornare ai territori che gli sono più congeniali, il modesto 6.9 che gli mette Pitchfork. Un flop praticamente ordinato dal dottore, per cominciare il 2015 con serenità.
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