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Massimalismo magico

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RANE

Massimalismo magico

È difficile immaginare una sorte letteraria più strampalata di quella di David Mitchell. Idolatrato in Inghilterra ma trattato con snobismo sistematico dall'intelligencija Usa, è ancora sconosciuto ai più in Italia – nonostante nel 2012 i fratelli Wachowski abbiano tratto dal suo Cloud Atlas un kolossal con Tom Hanks. Non è poco per un autore che conserva da quindici anni l'aria dell'enfant prodige e uno stile letterario tra i più camaleontici, riconoscibili e personali oggi sul mercato.

Uno scrittore da cui è legittimo aspettarsi di tutto: viaggi nel tempo, anime incorporee e futuri distopici. Rara specie di one-man-band della letteratura, i suoi romanzi sono quasi sempre un insieme di novelle interconnesse tra loro da un fattore mistico. Come ha detto lui stesso in una recente intervista: «Sono uno scrittore di novelle, ma sono anche un massimalista». Dopo due lavori più compatti, il primo semi-autobiografico e il secondo storico (A casa di Dio e I mille autunni di Jacob de Zoet, entrambi pubblicati da Frassinelli), Mitchell torna alle sue origini riprendendo il tema affrontato nel 1999 in Nove gradi di libertà: la trasmigrazione delle anime. Lo cala nello stesso continuum temporale di Cloud Atlas (la linea passato recente-futuro post apocalittico) e si spinge ancora più in là, facendone, parole sue, «un über-romanzo». Un racconto dove i suoi racconti precedenti confluiscono, prestando situazioni, nomi e personaggi rimescolati in forme nuove. Paradossalmente, Le ore invisibili (Frassinelli, 2015) si impone di tracciare una trama coerente. È la storia di Holly Sykes, teenager scappata di casa nel 1984 le cui vicende si muovono ai margini di tutti gli altri capitoli-racconti fino al 2043, dopo il canonico crollo della Civiltà.

Ogni capitolo introduce un personaggio, incarna una voce. Alcuni sono riuscitissimi, altri meno, tutti comunque vengono spazzati via dal vento inarrestabile della metafisica (Mitchell è, tra l'altro, maestro indiscusso dello spreco letterario, delle pagine meravigliose lasciate a metà). Nel quinto capitolo viene portata a compimento la sotto-trama fantasy: la guerra tra due specie di immortali, una buona e l'altra malvagia, che si contendono il destino delle anime umane. Ci sono eresie medievali e neologismi. Se decidete di approcciarvi a questo libro, fatevene una ragione.

Eppure, ciò che risulta magico è come Mitchell renda questo meta-romanzo sul concetto di meta-vita uno strumento letterario perfettamente funzionante, come le macchine impossibili di Kafka o Il castello errante di Howl. Questo ammasso incoerente che mescola realismo, fantasy e filosofia e forse è, sotto sotto, un manifesto politico-ecologista, dovrebbe crollare a pezzi a ogni pagina e invece a ogni pagina si ricompone, prosegue la sua marcia e tiene il lettore incollato a un'esperienza di lettura potentissima senza cali di tensione. Il risultato è tanto riuscito da incrinare qualche certezza. Negli ultimi anni ci siamo così abituati a un ideale di letteratura trasparente e ipercontrollato da dimenticare che, per secoli, scrivere romanzi ha significato affabulare un'audience, a qualunque costo e senza esclusione di colpi. È quello che facevano Dickens e Melville, è quello che oggi fa uno scrittore come Murakami. Come quei grandi scrittori, anche David Mitchell somiglia a un prestigiatore capace di far sembrare il trucco una magia, e Le ore invisibili, forse il più compiuto dei suoi romanzi, somiglia a un trucco bellissimo: chiedere questa meraviglia alla letteratura non è poco.

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