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Grass, il Nobel meritato di un grande perdente

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Addio a GuEnter Grass

Grass, il Nobel meritato di un grande perdente

Pubblichiamo l’articolo uscito sul Domenicale del Sole 24 Ore il 3 ottobre 1999, anno in cui lo scrittore tedesco Guenter Grass vinse il premio Nobel per la letteratura

Nessuno, penso, vorrebbe essere nei panni di quegli austeri signori che annualmente si riuniscono a Stoccolma per conferire il prossimo premio Nobel per la letteratura. Sono esposti a ogni sorta di critiche. Scelgono Dario Fo? Si levano subito alte proteste dalle panchine di coloro che sono in lista d'attesa. Come? Fo? E questo sarebbe uno scrittore? Saramago? Un altro comunista! Veramente almeno adesso non si direbbe. Cecità può essere considerato a buon diritto un romanzo cattolico, anche se i cattolici medesimi ce l'hanno con Saramago perché ha riscritto il Vangelo a modo suo. Può darsi che da giovane fosse comunista, e del resto oggi non si distingue più bene chi è comunista e chi non lo è, dato che i comunisti non ci sono più e ognuno se li inventa a propria immagine e dissimiglianza, come fa Berlusconi.

Di Guenter Grass nessuno può dire che era comunista, nemmeno Berlusconi, visto che ha scritto un’intera pièce contro Brecht (che indubbiamente lo era), pièce che sarebbe molto interessante se non fosse, secondo una costante tendenza dell'autore, troppo lunga. Inoltre Grass è sempre stato un socialdemocratico convinto, anche se spesso dissenziente dalla linea ufficiale. L'ultimo dissenso riguardava l'unificazione, che egli notoriamente giudicava prematura e tale da costituire una prevaricazione della parte più forte su quella più debole. Aveva ragione, come quasi tutti i perdenti. Ma ciò non autorizza in alcun modo il nemico personale di Grass, il critico Marcel Reich-Ranicki, a proclamare Grass un comunista in ritardo.

Era semplicemente un patriota, certo assai diverso da quelli che vengono considerati tali in terra tedesca. Lo dimostra la tenacia con cui finisce per affrontare i massimi problemi del passato e del presente del suo Paese, costringendo il lettore a occuparsi di scrittori poco noti come da ultimo Theodor Fontane (si veda «Il Sole-24 Ore» del 4 ottobre 1998) per centinaia o migliaia di pagine. Si può capire l'esasperazione di un Reich-Ranicki di fronte a simili prodotti, che però hanno illustri precedenti in Germania, cui Grass fa costante riferimento: la narrativa barocca e quella romantica e preromantica, soprattutto Jean Paul (Richter).

È un filone rimasto minoritario rispetto a quello che si rifà al classicismo tedesco, ma che ha una sua dignità stilistica nonostante la tendenza alle lungaggini. Esso riappare continuamente come un fenomeno carsico e accanto a un Thomas Mann che si sente erede dei classici c'è sempre un Alfred Doblin, di cui Grass si proclama discepolo. Sta qui la differenza tra Grass e l'ultimo premio Nobel tedesco, Heinrich Boll, che con la consueta franchezza riconosceva il suo debito verso scrittori cattolici di secondo ordine che gli avevano insegnato la nobiltà dei sentimenti ma anche la trascuratezza stilistica.
Certo, si potrà dire che i saggi di Stoccolma avrebbero fatto meglio a premiare il Guenter Grass che nel 1947 stupì l'uditorio di quello che si sarebbe poi chiamato Gruppo '47 con la grandiosa invenzione del Tamburo di latta. Il libro così intitolato costituisce accanto a Gatto e topo e a Anni da cane la cosiddetta trilogia di Danzica, che resta il massimo contributo di Grass alla letteratura moderna, anche se certe lungaggini della terza parte preludono a quello che sarà il Grass posteriore. Ma non si può prevedere il futuro, e del resto il futuro di Guenter Grass non dipendeva solo da lui, ma dai tempi e dalla cosiddetta crisi del romanzo, che egli superò con prodotti forse soporiferi, ma letterariamente e umanamente degni della decisione dei saggi di Stoccolma.

Del resto anche l'ultimo Grass, quando si dimentica di mettere troppa carne al fuoco, riesce persuasivo come ai tempi del Tamburo di latta. È il caso del bellissimo scritto L'incontro di Teltge, in cui Grass immagina che dopo la guerra dei Trent'anni si riuniscano in quella località tutti i principali scrittori di quell'epoca. Ma dietro ogni scrittore ce n'è uno del Gruppo '47, e il tutto è un omaggio ad Hans Werner Richter, fondatore del gruppo e adombrato nella figura di Simon Dachs, mentre lo stesso Grass si cela in Grimmelshausen. È un atto di immodestia, se si vuole, perché Grimmelshausen è il massimo scrittore tedesco del periodo barocco. Ma la felicità di questa invenzione la giustifica.

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