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Gigantismo letterario

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Gigantismo letterario

  • –Alfonso Berardinelli

Nel nostro mondo letterario si sta diffondendo un morbo. È il morbo della grandezza. Si dice: «grande» e si immagina che la parola, a forza di ripeterla, diventi cosa, si faccia realtà. Il fantasma mentale è ben noto: si chiama megalomania. Gli scrittori ormai sono e si sentono troppi e per farsi coraggio, per tenere a bada l’angoscia dell’inesistenza, immaginano di sembrare, se non essere, grandi almeno perqualche mese.

La cosa non nasce ora. Ha una certa storia, nella quale ci sono megalomanie grandi, medie, piccole, eccetera. Partiamo dalle grandi e medie.

All’origine di tutto, secondo alcuni, ci sarebbe Harold Bloom, che con il suo maestoso libro Il canone occidentale rimise in circolazione l’idea secondo cui i grandi classici esistono e meritano un posto privilegiato nell’educazione dei giovani. Quest’idea della grandezza, però, nella testa di Bloom non ha smesso di crescere, si è ingigantita. Non contento di avere scritto il volume sugli autori «canonici», ne ha scritto un altro intitolato Il genio, dedicato all’eccellenza e più voluminoso del precedente. La fissazione del grande critico americano sembra che sia quella di misurare la grandezza degli autori. Ogni volta che a Bloom vengono in mente due autori, la prima cosa che si chiede è: chi dei due è il più grande?

Altri pensano che all’origine del contagio megalomane ci sia anche Franco Moretti, docente a Stanford e autore di un libro del cui titolo non si riesce più a fare a meno in epoca di globalizzazione: Opere mondo.

Non fu mai chiaro che cosa fossero intrinsecamente e viste da vicino le «opere mondo». Sta di fatto che viste da lontano sono monumentali: si vedono a occhio nudo come la Tour Eiffel, la statua della Libertà, la cupola di san Pietro… Il Faust, Moby Dick, l’Ulisse, Cento anni di solitudine sono imprescindibili: opere mondo da studiare e studiate da tutti. La bibliografia critica che le riguarda è sconfinata e ne aumenta la grandezza.

Nelle università di tutto il mondo (al di fuori delle quali sembra che non ci sia cultura) le bibliografie contano. Nessuno è riuscito a spiegare perché lo studioso non abbia incluso fra le opere mondo l’Encyclopédie di d’Alembert e Diderot, bibbia del mondo moderno, o Guerra e pace, le Operette morali, Il capitale, la Recherche. Ma non importa. L’idea di parlare di opere mondo fu di per sé grandiosa e morbosa. Quando (come oggi) i dubbi sulla grandezza o piccolezza degli autori contemporanei dilagano pericolosamente, per combatterli si ripete più che si può il seguente mantra: «Noi siamo grandi come i grandi e chi non lo riconosce è piccolo». Provate a ripetere questa frase la sera prima di dormire e la mattina appena svegli: vi sentirete subito meglio.

La terza ipotesi è che negli Stati Uniti esiste da tempo il problema del Grande Romanzo Americano: e così noi, che vorremmo essere americani, abbiamo adottato il problema spensieratamente, dimenticando che è un vero problema.

La quarta ipotesi è che un libro non esiste se non è un best seller e i best seller sono sempre più voluminosi. Fisicamente fanno quasi l’impressione di opere mondo. Tutti li leggono e quindi bisogna sia leggerli che studiarli.

La quinta ipotesi è che i valorosi autori minori, meno noti e meno vendibili, li valorizzano e li pubblicano (coraggiosamente) quasi sempre gli editori minori. Così sembrano ancora più piccoli, perché le librerie li nascondono. Cosa voglio dire? Voglio dire che una cultura letteraria che vede solo grandi libri, classici canonici, opere mondo, best seller e ponderosi mattoni di carta, è una cultura letteraria non solo da megalomani, ma da alienati. Non c’è più posto per le preferenze, i gusti, le curiosità, le attrazioni, gli amori, le stravaganze, le avventure personali nel popolo dei libri. Si cerca l’indiscutibile perché si vuole essere subito indiscutibili come autori contemporanei. Invece anche i grandi classici hanno i loro difetti e comunque, secondo circostanze, possiamo averne bisogno o no.

Senza autori cosiddetti minori non c’è vera cultura letteraria. I grandi lo sapevano. Dante considerò maestri Guido Cavalcanti e Brunetto Latini, Baudelaire si sentì in debito con Edgard Poe, Eliot imparò da Jules Laforgue… Più che una generale idea di grandezza, conta la specifica qualità dei singoli autori. Forse la Letteratura non esiste e di per sé non è un valore. Esistono gli autori e i libri, molti e molto vari. Riconoscere quelli che fanno per noi richiede istinto. Solo che negli esseri umani non c’è istinto senza autocoscienza e cultura.

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