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Da J-AX allo Stato Sociale. Bacio gay, censure e polemiche al…

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primo maggio

Da J-AX allo Stato Sociale. Bacio gay, censure e polemiche al Concertone

Il Concertone del primo maggio 2015 forse passerà alla storia per i commenti a margine del palco della presentatrice Camilla Raznovich. Espediente tecnico che ha restituito fluidità televisiva all'evento dopo l'indigeribile spettacolo dell'anno scorso, ma anche efficace stratagemma per provare a «censurare» le esibizioni più scomode (pochissime, in verità) della diretta monstre di Rai 3.

Quella di ieri era una giornata particolare: per le strade di Milano si respirava clima da anni Settanta e a Roma, in quel di San Giovanni Laterano, per l'edizione numero 25 dell'evento organizzato da Cgil, Cisl e Uil era bene che filasse tutto liscio. E allora la stella polare si chiama politically correct, la politica sul palco ci può stare ma deve girare intorno a una violinistica «Bella Ciao», ad attestazioni di solidarietà per i migranti morti in mare o all'indignazione per il lavoro che non c'è. Politici quasi mai nominati: Renzi viene per un attimo evocato dal comico Antonio Cornacchione (e giù fischi), Berlusconi dal di lui collega Paolo Rossi («Quando c'era il Cavaliere il nostro repertorio era molto più vasto»). Dell'Expo sul palco si parla (e bene) una sola volta, onde evitare reazioni incontrollabili di un pubblico che, secondo gli organizzatori, ieri ha toccato la soglia record del milione di spettatori. Per tutto il resto c'è la Raznovich.

Lo stop a J-AX, il bacio gay dello Stato Sociale
La consumata vee-jay con i suoi commenti a margine filtra tutto ciò che avviene sul palco. Si guardi per esempio all'esibizione di J-AX, tra le più attese della serata: l'ex Articolo 31 è partito apparentemente innocuo con «Il bello di essere brutti», si è concesso un duetto con la compagna di giuria a The Voice Noemi su «Gente che spera» e poi, al momento di introdurre «Ribelle e basta», arrivano una battuta su Matteo Salvini (i rom in Italia «sono accusati di tutto», gente come il leader leghista ci costruisce la carriera) e un riferimento alle discriminazioni subite sul lavoro dalle donne, per le quali l'unico mestiere socialmente accettato «è quello di escort». E dove si ritroveranno adesso tutte le escort? J-AX - che di lì a poco farà da conduttore aggiunto - a questa domanda retorica sta per rispondere Expo, ma la Raznovich gli toglie la linea per intervistare Noemi. Che tempismo! È in un commento a margine dell'esibizione di Irene Grandi (il brano è «Bruci la città») che la conduttrice di «Alle falde del Kilimangiaro» condanna poi la violenza dei Black Bloc a Milano, quando la piazza non può sentirla. Peccato: sarebbe stato bello raccoglierne l'applauso. C'è però qualcuno che sfugge a questo rodato sistema anti-incidenti diplomatici. Vedi alla voce lo Stato Sociale, indie band bolognese idealmente erede della lezione degli Skiantos. Vorrebbero portare sul palco coppie gay e lesbiche per inscenare un bacio libertario e liberatorio, la cosa non sarebbe consentita in fascia protetta e allora («per protestare contro la censura») arrivano sul palco incappucciati di nero («irriconoscibili», a loro dire, come i poliziotti al G8 di Genova). Eseguono «Abbiamo vinto la guerra», quindi si svestono: il bacio gay se lo daranno due membri del gruppo. Come band potranno piacere o meno, ma in quanto a comunicazione strategica meritano un dieci.

Revival anni Novanta dai Bluvertigo ai Bregovic
Per il resto il Concertone si è rivelato una specie di «come eravamo» negli anni Novanta. Musicalmente parlando e non solo. Un omaggio, più o meno esplicito, al decennio in cui l'evento è nato, Trentin, Marini e Benvenuto regnanti. Un tributo all'epoca in cui la generazione dei Renzi boys, oggi nella stanza dei bottoni, aveva vent'anni. Lo capivi dai nomi di punta in scaletta: oltre a J-AX, i riuniti Bluvertigo che hanno lanciato il divertente inedito «Andiamo a Londra», gli Almamegretta con il ricordo di Pino Daniele, un Alex Britti bluesy, il maestro concertatore Goran Bregovic che si è concesso una lettura balcanica di «Bella Ciao», tutti artisti in gran spolvero nella primissima seconda repubblica. Lo capivi dal cast guidato dalla Raznovich e completato da quanti, in questi 25 anni, hanno condotto l'evento, da Paola Maugeri a Enrico Silvestrin, da Carlo Massarini a Dario Vergassola, in molti casi pionieri del mestiere di vee-jay, in tutti icone televisive dei Nineties. I limiti con cui fare i conti erano gli stessi delle ultime due edizioni: la spending review sindacale che impedisce ormai di scritturare gli Sting e i Robert Plant di una volta, l'evento televisivo paludato e quello musicale che ha perso la propria centralità, causa convivenza forzata con il contro-concertone di Taranto. Tuttavia la nuova produzione, affidata al tandem Carlo Gavaudan-Massimo Bonelli, sembra essersela cavata meglio rispetto ai precedenti più immediati. Si è badato al pubblico «over» (Napoli Centrale, Teresa De Sio, la prima esibizione della Pfm dopo l'addio di Franco Mussida) e ai giovanissimi (Emis Killa, Nesli e gli ancora una volta sorprendenti Kutso). Più mestiere e meno esperimenti sconclusionati. Mettiamola così: negli ultimi anni abbiamo visto di peggio. Ai detrattori della manifestazione non basterà, ma saranno costretti a convenire.

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