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Questo articolo è stato pubblicato il 03 maggio 2015 alle ore 08:12.

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Il suo cognome originario è Feinstein, ma dall’età di dodici anni si è chiamato Spoerri, Daniel Spoerri. Si era in tempo di guerra, dalla Romania la famiglia era fuggita dopo che il padre era stato ucciso in un pogrom, ed era stata accolta da Theophil Spoerri, professore e quindi rettore dell’Università di Zurigo: «Era il fratello di mia madre ed era più semplice riuscire a stabilirsi in Svizzera assumendo il suo nome», ci racconta Daniel Spoerri.

Seduto al tavolo della sua cucina viennese, l’artista oggi 85enne non ricorda con piacere gli anni trascorsi nella Confederazione Elvetica: «Sono stati orribili, non sapevo che fare della mia vita. Però poi scoprii la danza». Fu effettivamente il ballo il primo mestiere di Spoerri, entrato tuttavia negli annali della storia dell’Arte del Novecento non per il suo essere avanzato a étoile del teatro di Berna alla metà degli anni 50, bensì per la sua militanza nel Nouveau Réalisme a partire dagli anni ’60, assieme a Jean Tinguely, Yves Klein, Christo, Mimmo Rotella, Niki de Saint Phalle. Soprattutto, la sua celebrità è stata sancita dai suoi “quadri trappola”, con i quali gioiosamente creava - e tuttora crea - un fermo-immagine tridimensionale di momenti e situazioni. I suoi più famosi sono ancora oggi i resti integrali di pasti, incollati al piano del tavolo o al vassoio e quindi, passando dall’orizzontalità alla parete, appesi in tutta la loro concreta convivialità, con stoviglie e avanzi di cibo proiettati verso l’osservatore.

Opere che sono diventate poi parte integrante della sua filosofia culinaria, vissuta nella quotidianità grazie fra l’altro a un ristorante aperto a Düsseldorf alla fine degli anni ’60, e poi sempre tenuta viva con iniziative e banchetti-performance in diversi Paesi. A quel suo spiccato interesse per il cibo, Spoerri ha dato il nome di “eat art”.

Perché è un’arte?, gli chiediamo. «Ma perché sono un artista» risponde scoppiando in una delle sue frequenti, fragorose risate: «A me interessa il ciclo vita-morte. Il cibo, la vita e la morte hanno uno stretto rapporto e io cerco di rappresentarlo». Nonostante amare sofferenze che lo hanno segnato in gioventù - «Quando ero giovane, in Svizzera, il suicidio era una mia idea fissa» - oggi Spoerri guarda con ottimismo al futuro: «Quanto più si avvicina il punto finale – chiamiamolo così -, tanto più piacevole diventa tutto. Non dal punto di vista fisico: quello è un disastro, ma in testa diventa tutto più chiaro, più semplice”.

Non rimpiange di non avere figli? : «Non ne ho mai voluti, ma non me ne sono mai pentito. Se dovessi immaginarmi un 65enne che mi dicesse “papà”, lo troverei orribile».

Oggi le sue giornate Spoerri le trascorre prevalentemente a Vienna, dove si è trasferito nel 2007, dopo aver creato a Seggiano, in Toscana, il vasto parco di sculture contemporanee Il Giardino.

Nella sua casa vicina al Mercato delle Pulci, suo principale fornitore di oggetti e idee, una stanza è dedicata ad accogliere molte ceste con pezzetti di stoffa, con i quali lavora alla sua più recente serie di opere, gli Oracoli logori: motti fantasiosi costruiti con frammenti di parole che ritaglia da antichi strofinacci e asciugamani, originariamente ornati di tradizionali proverbi, ricamati a punto-croce. «Vede? Qui ci sono gli articoli, qui gli aggettivi, qui i verbi e gli avverbi, e qui i sostantivi. Io lavoro sempre con oggetti trovati, e in queste ceste cerco finché non ricostruisco frasi in cui mi riconosco».

Frasi suggestive o ironiche, che ribaltano con lievità dogmi e saggezze popolari: «È solo con l’ironia che si può rendere sopportabile il sentimentalismo. Prenda tutta quella gente della mia età che si piange addosso e dice: fra poco muoio. Lo dico anche io, ma io lo trovo comico». Morire è comico, non ne ha paura?: «Credo di no. Si ha paura perché si è indottrinati sul dopo. Ma il dopo non c’è, Dio non c’è, è un’invenzione dell’uomo. Dopo, semplicemente non c’è più nessuno Spoerri». E va bene così?: « Ma certo, menomale!» E le sue opere? «Rimarranno per un paio d’anni, ma non importa, che vuole che sia rispetto all’universo, che di anni ne ha miliardi?».

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