Venerdì sera sono entrato a Palazzo Marino, in piazza della Scala a Milano, sala Alessi, alle 20 e 40 e sono uscito alle 23 e 20. Il sindaco, Giuliano Pisapia, è stato con noi dall'inizio alla fine e, cosa ancora più sorprendente, anche la sala è rimasta gremita fino all'ultimo, tranne pochissime eccezioni. Il tema («La Resistenza in Europa: classi dirigenti e nascita dell'Unione Europea»), giornata e orario, non avrebbero consentito di immaginare un tale seguito, ma tant'è: due video messaggi (Giorgio Napolitano e Martin Schulz), la presenza del “ministro degli Esteri” dell'Unione europea, Federica Mogherini, e del ministro per le Politiche agricole, Maurizio Martina, una sequela di europarlamentari tutti del Pd, Benifei, Panzeri, Toia, ancora Alberto Martinelli e Pietro Bussolati, i parlamentari Roberto Cociancich e Lia Quartapelle, ognuno ha detto la sua, mescolando le ragioni della memoria con quelle della politica, le macerie della guerra e la voglia di rinascita degli italiani del Dopoguerra, il disegno incompiuto degli Stati Uniti d'Europa, il valore della Resistenza e le «idee costruttive» della Democrazia cristiana, lo spettro dell'onda di antisemitismi, populismi e intolleranze dei nostri giorni che in qualche modo rievocano gli spettri del passato, i segni civili della “primavera milanese” di questi giorni.
Sinceramente mi ha colpito la presenza in sala di giovani e mi sono chiesto quale vocabolario avrebbero usato per decifrare interventi e considerazioni dove le spinte al realismo per costruire una fiducia duratura venivano, spesso, avvolte, tra una citazione e l'altra, in una nuvola di ottimismo sganciata dai fatti e dal contesto di questa terribile fine-crisi. Dagli «sforzi creativi» invocati da Schuman per la costruzione della comunità europea del carbone e dell'acciaio a un sorprendente Winston Churchill che, parlando nel '46 davanti agli studenti dell'università di Zurigo, si spinge a dire che «vi è una medicina miracolosa ed è la creazione di una famiglia dei popoli europei, o almeno di quanti lo possono fare, che possa avere una struttura che consenta loro di vivere in pace, libertà e sicurezza. Dobbiamo costruire una sorta di Stati Uniti d'Europa...». Il richiamo costante a un grande italiano, Altiero Spinelli, il Manifesto di Ventotene e una certa idea d'Europa, ma anche quella voglia sana di liberarsi «dall'utopia negativa» di pensare che così si va avanti per affidarsi a qualcosa che mi è caro come «quel cominciare a fare ciò che è necessario» dove San Francesco d'Assisi e Jacques Maritain stanno a modo loro insieme. Appartengono ai miei “percorsi” di lettura e di vita, integrano un racconto di fatti e momenti della politica dove il riformismo cattolico si coniuga con l'intelligenza tecnica e la cultura laica, la storia supera le sue divisioni.
Mi confermo, dentro di me, che qualcosa di importante a Milano si sta muovendo, ci sono fermenti culturali e economici, il ritorno di un'attrattività di creativi, innovazione, vecchia e nuova manifattura, avverto soprattutto la riprova di quella partecipazione civile dove conoscenza della memoria e desiderio di futuro provano a incontrarsi, è solo una speranza, non c'entra niente con stonatissimi trionfalismi di maniera, guai però a non accorgersi che quella speranza c'è, guai a nasconderla o sottovalutarla. Quando l'onorevole Toia si chiede ad alta voce quale potrebbe essere «l'acciaio della nuova Europa” e butta lì la moneta, mi viene da dire d'istinto («Il lavoro») e mi accorgo incrociando gli occhi di tutti che c'è una grande esigenza di un'Europa che torni a scaldare i cuori e a farsi sentire come un dono o un amico sicuro nelle nostre famiglie, dove Nord e Sud tornino a stare insieme e dove la solidarietà diventi qualcosa che si possa toccare. Esco da Palazzo Marino, non piove più, sono passate le ventitré, ma intorno a me c'è un andirivieni da pomeriggio, molte biciclette, giovani e meno giovani, donne e uomini, tanti milanesi, ma anche francesi, giapponesi, americani, tedeschi. Mi allungo in Galleria, tutto è illuminato, sono tornati i suoi colori, nella libreria «Bocca dal 1775» in vetrina non c'è più il cartello «la crisi rischia di farci chiudere», al centro un'installazione che è una specie di cubo con un gioco di specchi informa che si devono ringraziare Prada, Versace e Feltrinelli, mi accorgo che intorno ci sono quattro postazioni con panca e binocolo e scopro che sono tutte occupate. Non se ne era mai andato, ma ora ho la sensazione che il salotto di Milano sia in qualche modo tornato, locali storici come il Savini o il Biffi convivono con le vetrine di Armani, Versace e tutte le firme milanesi della moda ma anche Gucci, Tod's, Vuitton e tanto altro, i colori e le luci, il pavimento, le pareti e la cupola raccontano di una piccola grande “resurrezione”.
All'uscita dalla Galleria su piazza Duomo mi passa davanti una camionetta dell'esercito con una scritta ben evidente «operazioni strade sicure». C'e una gran pace e l'aria è rinfrescata, prendo la strada di casa e continuo a pensare a questa specialissima “primavera milanese”, dove la stella del made in Italy vive di luce propria e tornano i creativi, dove Milano Sud fa scommesse artistiche coraggiose e dove i “grattacieli” raccontano il profilo di una capitale internazionale. Quando i black bloc mettono a ferro e fuoco il cuore della città, devastano strade, vetrine e palazzi, sono i milanesi armati di spugne e scope a restituirsi i pezzi di città violati in meno di quarantotto ore, l'Expo segnato da scandali sui quali si deve fare chiarezza, ritardi e disfunzioni organizzative che persistono, però è partito bene, fa il pieno di visitatori, tocca corde importanti, gli eventi si susseguono, mettono insieme temi decisivi come la sana nutrizione e lo spreco alimentare, riannodano il filo della parte migliore della nostra manifattura, quella che compete nel mondo e tiene alta la bandiera italiana. Continuo a camminare e comincio a convincermi che questa “primavera milanese” sia qualcosina in più
di una speranza, me lo auguro per Milano, di riflesso
per l'Italia, che se vuole rialzare la testa ha disperatobisogno di ritrovare la sua locomotiva economica e, prima ancora, civile.
roberto.napoletano@ilsole24ore.com
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