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Donne romene nelle serre. Giacomo Guarneri denuncia storie di violenza e…

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Teatro

Donne romene nelle serre. Giacomo Guarneri denuncia storie di violenza e sfruttamento

Ci sono luoghi geografici dove il teatro, col linguaggio che gli è proprio della parola espressa, dell'azione visionaria, del gesto poetico, della scrittura scenica, può farsi particolarmente tramite di voci soffocate, di pensieri trattenuti, di storie altrimenti irrappresentabili; e dare forma e sostanza ad atti di denuncia, a verità scomode. E smuovere le coscienze, scardinare porte omertose, restituendo alla luce ciò che il buio vorrebbe nascondere, considerare inesistente, rendere invisibile, condannare all'oblio.

Uno di questi luoghi è Vittoria. In questo grosso centro agricolo del ragusano, noto per le coltivazioni ortofrutticole nelle serre, Andrea Burrafato con coraggio e passione conduce tenacemente da otto anni in qualità di direttore artistico una piccola, ma importante rassegna di teatro contemporaneo, Scenica Festival, diventato rilevante appuntamento artistico nel territorio della provincia siciliana, costruendo negli anni un pubblico curioso, appassionato, e sempre più numeroso. A lui e al suo staff dell'associazione Santi Briganti, va il plauso di una sana resistenza culturale che nel tempo sta dando frutti. Uno di questi è, per l'attuale edizione, essere passati dalla semplice ospitalità di artisti e compagnie della scena teatrale italiana, e non solo, ad una vera produzione su commissione.

Ne è nato un testo, “Seră biserică” del palermitano Giacomo Guarneri, che affonda le mani in una problematica di scottante attualità fortemente legata al territorio: nella fattispecie quella che un'inchiesta del settimanale l'Espresso ha definito “il nuovo orrore delle schiave romene”. Autore, e anche regista, Guarneri ha svolto un lungo lavoro di raccolta di testimonianze sul campo, di dati e documentazione, per dare corpo ad una drammaturgia che denuncia lo sfruttamento fisico e psicologico, agricolo e sessuale, di donne rumene che lavorano nelle serre di piccoli imprenditori, segregate in casolari invivibili della campagna, spesso con figli piccoli, che nel totale isolamento subiscono ogni genere di violenza sessuale, con le drammatiche conseguenze di aborti clandestini.

Una realtà di ricatti e ipocrisia, di intolleranza, vessazioni e compromessi, che molti conoscono, dove tutti sanno e nessuno parla, ma che la coraggiosa denuncia di alcune di queste “schiave” ha fatto emergere. La messinscena riassume la vicenda di una di esse, Alina, in cui sono condensate le storie di molte altre. La protagonista racconta e rievoca la sua drammatica storia: dal momento in cui giunge in Sicilia con la sua bambina in una stazione di autocar, avendo il sogno di una Italia dove poterle far vivere una vita migliore, fino al momento in cui sceglierà di ritornare al suo paese, perché “il mio villaggio è qualcosa, il mais…, mia madre è qualcosa”.

Nel mezzo un avvicendarsi di situazioni che legano le dinamiche della prevaricazione e della sopravvivenza di altre donne vicine ad Alina, Nicoleta e Mihaela (le encomiabili Lusiana Libidov, Chiara Muscato, Marcella Vaccarino), tutte alla mercè di un unico padrone che si fa chiamare Zio, uomo senza scrupoli e principi morali a cui dà un inquietante e credibile interpretazione Fabrizio Ferracane (candidato ai David di Donatello come migliore attore per il film di Munzi “Anime nere”). La messinscena lo disegna orco malvagio, apparentemente innocuo, nell'ombra ingigantita dietro un telo trasparente di plastica, mentre insinua una figura di donna-bambina.

Altre scene simili scandiranno la progressiva discesa agli inferi di quelle donne costrette a umiliazioni di ogni sorta, a lavori massacranti per misere paghe in nero, a essere sporcate nel corpo “…ma non nell'anima!”, dirà Alina. L'essenziale scenografia sagomata a serra, tenuta da liste di legno con in alto una croce e con finestrelle dalle quali l'uomo sorveglia e vigila sul lavoro e sulla vita delle donne, vibra coi netti e suggestivi tagli di luce e controluce (di Petra Trombini) che disegnano in chiaroscuro il misero habitat della deriva umana. Dove vive la fede in un Dio nonostante tutto. E arriva come un urlo disperato la preghiera “Padrone nostro” gridata di Nicoleta fuggita dall'ospedale dopo aver abortito: un Pater Nostro declinato in invettiva contro lo Zio. Testo di forte spessore drammaturgico “Seră biserică” è uno spettacolo necessario, un pugno allo stomaco che non può non farci male e lasciarci indifferenti.

“Seră biserică”, testo e regia Giacomo Guarneri, con Lusiana Libidov, Fabrizio Ferracane, Chiara Muscato, Marcella Vaccarino, progetto e supervisione Andrea Burrafato, Giuseppe Macauda, scene e disegno luci Petra Trombini. Produzione Santa Briganti / la Pentola Nera, in collaborazione con Flai CGIL. Al Teatro Comunale di Vittoria (Rg) nell'ambito di Scenica Festival.

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