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Convince a metà «Sicario» di Villeneuve. Delude Valérie…

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Cinema

Convince a metà «Sicario» di Villeneuve. Delude Valérie Donzelli

A Cannes è il giorno di Denis Villeneuve: il regista canadese ha portato in concorso il suo ultimo lavoro, «Sicario», con protagonisti Benicio Del Toro, Emily Blunt e Josh Brolin. Scritto dallo sceneggiatore esordiente Taylor Sheridan, il film vede una giovane agente segreta americana entrare a far parte di una delicata operazione in Messico, volta a sgominare un potente cartello dedito al traffico di droga. Arrivata sul posto, si troverà a dover fronteggiare insidie, segreti e violenze ben superiori a quelli che potesse immaginare.

Regista altalenante ma dotato di grande talento, Villeneuve («La donna che canta» del 2010; «Prisoners» del 2013) firma un thriller ad alta tensione, ricco di colpi di scena e di svolte improvvise. Notevole nelle sequenze d'azione, il film perde ritmo nei momenti più statici, faticando a dare una lettura originale di un tema già spesso abusato dal cinema a stelle e strisce. Se la narrazione è un po' prevedibile, dal punto di vista visivo il risultato è di pregevole fattura, i tempi di montaggio (quasi) perfetti e la fotografia (firmata Roger Deakins) impeccabile. Cast complessivamente in buona forma.

Pessimo, invece, «Marguerite et Julien», nuova pellicola di Valérie Donzelli.
Protagonisti un fratello e una sorella che si dichiarano eterno amore sin dall'infanzia. Le vicende della vita li costringeranno ad allontanarsi, ma i due lotteranno con tutte le loro forze per poter stare insieme. Disastroso melodramma con toni fiabeschi, che punta su una relazione incestuosa incapace di coinvolgere o interessare: la regista si concentra sul sentimento tra i due e sulle reazioni di una società che non può accettare la loro relazione (siamo a cavallo tra il sedicesimo e il diciassettesimo secolo).

L'errore più grave, però, sta in una messinscena inutilmente forzata, sopra le righe e artefatta, che vorrebbe essere pop e all'avanguardia ma finisce soltanto per irritare e risultare gratuita. Anche i due attori principali risultano inconsistenti.
In concorso ha trovato spazio anche «La loi du marché» di Stéphane Brizé con Vincent Lindon. L'attore veste i panni di Thierry, un cinquantenne che ha perso il lavoro da diverso tempo e tenta di reinventarsi come può. Rimettersi in gioco però, alla sua età, è tutt'altro che semplice. Rigoroso nello stile adottato, il film opta per una macchina da presa a mano così da dare maggior realismo alla vicenda, rimanendo costantemente incollato al volto del protagonista. Buoni intenti e contenuti importanti (legati all'attuale crisi economica), anche se la pellicola sa un po' troppo di già visto e non sempre Brizé ha il giusto guizzo per colpire fino in fondo. Ottima performance di Lindon (unico attore professionista in scena), papabile per la conquista del premio come miglior attore del Festival.

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