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Infinito presente

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Infinito presente

Nel celebre racconto Funes, o della memoria, Jorge Luis Borges immagina un ragazzo incapace di formare idee generali: per lui ogni dettaglio viene percepito e ricordato in maniera unica e perfetta. Funes non può uscire dai limiti dell'immediato perché trattiene troppe informazioni, perché la sua memoria è diventata abnorme. Nel mondo reale, un giovane americano di nome Henry Gustav Molaison subì un destino simile a causa di un'operazione fallita, ma per una via diametralmente opposta: dimenticava tutto.


UN MEDICO FANATICO
La storia di Henry è al centro del saggio della ricercatrice che lo seguì per quarant'anni, Suzanne Corkin: e a fine lettura, il titolo Prigioniero del presente (Adelphi) non appare né altisonante né esagerato. Ecco come andò. A quindici anni, Henry cominciò ad avere dei terribili attacchi di epilessia. Fu messo in cura presso il famoso medico William Beecher Scoville, ma i farmaci non sembravano funzionare, mentre le crisi si facevano sempre più frequenti. Scoville propose allora di effettuare un'asportazione cerebrale, e la famiglia di Henry, comprensibilmente disperata, accettò. (In seguito, il medico – un fanatico della psicochirurgia – ammise che l'operazione era «francamente sperimentale»).
L'intervento ebbe luogo il 25 agosto 1953: Scoville recise la via maestra tramite cui le informazioni sensoriali arrivavano all'ippocampo. Il giorno dopo, il ventiseienne Henry non riconosceva le infermiere e non ricordava le conversazioni svolte. Il tempo passato in ospedale, quando fu dimesso, era già scomparso dal suo orizzonte. Qualcosa di terribile era accaduto: l'epilessia si era fortemente ridotta, ma Henry l'aveva barattata con l'amnesia.


POESIA INVOLONTARIA
Per la precisione, Henry perse la memoria dichiarativa, ovvero quella che consente di formulare esplicitamente ciò che si è appreso. Ricordava quanto gli era successo fino al momento dell'operazione, pur non essendo in grado di esplicitarne i dettagli. (Gli unici due ricordi che mantenne con nitore anche in vecchiaia furono la prima sigaretta fumata e la volta che volò, da bambino, su un monomotore Ryan: quale involontaria poesia).
Poco tempo dopo la sua vita incrociò quella di Suzanne Corkin. Quando, nel 1961, la dottoressa si trasferì al Clinical Research Center del Mit, quel laboratorio «divenne per Henry una seconda casa»: per oltre cinquant'anni si sottopose come volontario a dei test che diedero un impulso straordinario alla ricerca neurologica.
Corkin fu colpita innanzitutto dalla specificità dell'amnesia di Henry: era in grado di svolgere le normali attività quotidiane, riconosceva i genitori, ma tutte le esperienze successive all'operazione svanivano a breve. Questo la aiutò a comprendere che «il nostro cervello è come un albergo abitato da gruppi disparati di ospiti; accoglie tipi diversi di memoria, e ognuno occupa la propria suite». E aiutò a dissipare i dubbi sulla formazione della memoria a breve termine e a lungo termine: Henry fu sempre in grado di ricordare e ripetere una serie di cifre che gli venivano comunicate, mentre tutto il resto cadeva nell'oblio. Per tornare all'immagine dell'albergo, nel cervello di Henry «l'informazione poteva entrare nella hall, ma non poteva venire registrata alla reception e prendere una stanza».
Non solo. Gli studi portati avanti da Corkin contribuirono a illuminare i legami fra percezione e memoria, il rapporto fra amnesia e demenza senile, l'influsso del sonno sulla memoria e il ruolo dell'ippocampo nell'elaborazione di associazioni mentali. Persino dopo la sua dipartita (avvenuta il 2 dicembre 2008) Henry aiutò il progresso della scienza, grazie alle analisi fatte sul suo cervello post-mortem.


UN UOMO GENTILE
Già, ma come vive una persona in queste condizioni? Che ne era dell'individuo Henry?
Innanzitutto, perse il lavoro – era troppo smemorato anche per la catena di montaggio – e dovette dipendere dalla madre per il resto della sua vita. Frequentò l'Hartford Regional Center per disabili mentali, dove svolgeva compiti molto semplici. Ma non sembrava soffrire. Accettava l'aiuto degli altri di buon grado, restando sempre molto educato e tranquillo: libero dai ricordi infelici e dall'ansia per il futuro, visse una vita senza tensioni particolari. Corkin precisa che Henry aveva perso la memoria, ma non l'intelligenza e una certa capacità emotiva, per quanto sghemba e frammentaria, bisognosa di un continuo assestamento. Purtroppo, senza ricordi è molto difficile rendere profonde le nostre relazioni: Henry ebbe degli amici, ma ogni rapporto con loro rimase eternamente confinato alla superficie. Per questo è così difficile comprendere davvero la sua esistenza; e non dovremmo trovare incoerente la sua risposta alla domanda se si sentisse disperato: un bel sorriso e «sì, e quasi sempre no».
Ecco, questo è forse il pregio maggiore del libro. Benché si concentri soprattutto (e in maniera a volte un po' prolissa) sul caso Henry, non manca mai di ricordare come egli fu: un uomo gentile e altruista, dotato peraltro di un notevole senso dell'umorismo. (Quando, nel 1984, un neurologo si accorse di avere dimenticato le chiavi, Henry gli disse: «Lei almeno saprà dove trovarle!»). Non solo. Con il crescere della fama di Henry, Corkin divenne molto protettiva nei suoi confronti: impedì a chiunque di filmarlo, selezionò con cura i ricercatori che volevano lavorare con lui e si batté per non trasformarlo in un fenomeno da baraccone. «Il mio ruolo di scienziata mi era sempre stato assolutamente chiaro», scrive. «Ma provavo compassione per Henry, e rispettavo lui e le sue idee sulla vita. Era più che un soggetto di ricerca». Molte volte le confidò che sperava di contribuire al progresso della scienza, per aiutare altre persone.


PRIGIONIERO
E così fu: la sua tragedia fu di eccezionale utilità sia alla ricerca che alla clinica medica. Prigioniero del suo presente, aprì un gran numero di nuove vie per il nostro futuro, per la comprensione di quel mistero che è il cervello umano: e come racconta Corkin, sarebbe stato fiero di saperlo. Ma non poté saperlo davvero per più di qualche istante – prima di dimenticarlo.

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