Tre settimane fa Louis C.K. è stato stuprato. Era stato picchiato da una ragazza, per strada, e aveva chiesto a Pamela di mettergli del fondotinta sui lividi. È finita che lei l'ha truccato da donna, si è messa un cappellino da baseball per fare l'uomo, e poi si è approfittata di lui. Era una puntata di Louie, e quindi ho barato, nell'incipit: non era Louis C.K., era il suo io narrante. Che però si chiama Louie, come lui; come d'altra parte il personaggio di Pamela Adlon si chiama Pamela, e non si capisce bene che rapporti abbiano i due, come nella vita (stanno insieme? Erano agli Emmy insieme! Il mondo ha diritto di sapere!); come d'altra parte Louie doveva farsi coprire i lividi perché quella sera aveva uno spettacolo, giacché anche nella finzione scenica fa il comico. Comico che, in questa stagione (la quinta), è d'un certo successo. (Era ora che il comico più di successo di questi anni adeguasse il suo io narrante e smettesse di fare il precario squattrinato dello stand-up, utilizzando nella sceneggiatura momenti di quando, in passato, apriva gli spettacoli di Jerry Seinfeld e ne veniva maltrattato: è troppo tardi per rivenderteli, ora che sei più famoso tu di lui.)
Lo stupro, dicevamo. Il giorno dopo, sui giornali americani c'erano gli inevitabili articoli (think piece: la riflessione – inesistente in Italia – a margine dei fenomeni culturali) che si chiedevano cosa stesse cercando di dirci Louis C.K. sui rapporti di forza, la violenza sessuale, il consenso. Era già successo l'anno scorso, a ruoli invertiti: una scena in cui lui strattonava Pamela cercando di baciarla, e lei lo liquidava con il piglio che ha sempre: «Non sei manco buono a stuprare», e lo mollava lì come si fa con gli uomini goffi allorché spazientite. Il giorno dopo, non c'era critico che non s'indignasse. Matt Zoller Seitz scrisse sul New York Magazine che la puntata andava vista nell'ottica complessiva di un discorso che di certo C.K. intendeva farci sul tema, e che caratteristica di Louie era non tener conto del fatto che ormai la tv veniva commentata minuto per minuto, e non c'era spazio per una morale a lungo termine.
La puntata rimase lì, non c'era alcun discorso complessivo, se non nel complesso dell'opera e di come sono costruiti i caratteri, e insomma nel fatto che Louis C.K., come stupratore, è credibile meno di quanto lo sarebbe come acrobata da circo, e che tra lui e Pamela è lui la parte debole. Il fatto è che C.K. costituisce il singolare caso di uno che piace a tutti nonostante faccia di tutto per far incazzare tutti. C'è, in quel che fa, che sia strattonare una fidanzata o raccontare che sì, bisogna stare attenti alle allergie dei bambini, ma forse se muori per una mandorla è giusto che tu muoia, un garbo che rende impossibile prendere sul serio gli occasionali detrattori.
Se è stato il primo (e su così larga scala è ancora l'unico) a potersi permettere di mettere in vendita sul proprio sito il filmato del proprio spettacolo teatrale a 5 dollari, chiedere cortesemente di non piratarlo, e incassare un milione in pochi giorni, è perché in tutto quel che fa – nei suoi monologhi; nelle spiegazioni che dà del non voler farsi foto coi fan fermandosi però volentieri a salutarli, e di come lamentarsi che vogliano parlargli sarebbe da stronzi; perfino nelle mail che manda per disdire uno spettacolo: «Dicono che sarà una nevicata storica: io mica ho capito come si possa definire “storica” una cosa che non è ancora successa» – in ogni dettaglio trasmette la sensazione d'essere una persona perbene.
L'anno scorso Louis C.K. ha vinto un paio di premi per aver scritto una puntata di Louie intitolata So did the Fat Lady. Se cercate su YouTube, troverete l'ultima scena. La ragazza grassa che vorrebbe uscire con Louie gli spiega perché lui, non essendo il sosia di Brad Pitt, non vuole uscire con lei. Cosa pensa che si capirebbe, di lui, vedendolo con lei (che è quello il suo girone, mica quello delle strafighe). Il dialogo comincia da lei che si scoccia quando lui sente di doverle dire: «Ma mica sei grassa», e arriva all'unico vero gender gap: «Tu puoi andare al microfono e dire che nessuna vuole uscire con te e che sei un ciccione: ed è adorabile. Ma, se lo faccio io, chiamano il pronto intervento suicidi». Riflessione che era impossibile non aver fatto, nelle ultime stagioni, guardando Louie e guardando Girls: se Louis C.K. fa vedere la pancia fa ridere, se la fa vedere Lena Dunham è una coraggiosa scelta rivoluzionaria d'autodeterminazione femminista (cioè qualcosa che sta fra «cheppalle, è l'ora dell'impegno» e «che schifo, non potrebbe filmare una un po' più in forma?»). Il modo in cui l'ha integrata nella narrazione è stato mirabile, eppure il giorno dopo c'era la rivolta delle femministe: come osa dirci cosa pensa e prova una ragazza grassa, lui, maschio bianco sciovinista.
Il fatto è che Zoller Seitz ha ragione: C.K. non tiene conto dei commentatori, il che è eroico in tempi di continuo feedback. E, soprattutto, non chiede scusa. Di recente ha raccontato d'aver chiesto scusa a Sarah Palin, incontrata al quarantennale del Saturday Night Live, per certi vecchi tweet di gratuita stronzaggine. Ha detto che era la prima volta, «non ho mai chiesto scusa per una battuta», facendo intendere che probabilmente era anche l'ultima. Non si dà grande comico che si preoccupi di quelli che non capiscono le battute. O le atmosfere: Louie non ha una trama, sono scene di vita alternate a riprese di lui che monologa in un locale dove si esibiscono comici (come Seinfeld). È quella cosa difficilissima da fare in tv, e così fragile da non poter venire disossata e didascalizzata: atmosfera (come Seinfeld). Non puoi estrapolarne uno strattonamento tra fidanzati o l'arringa della ragazza grassa e farci un editoriale. Cioè, puoi, ma vuol dire che non fa per te, che non hai capito di che si tratta. E sarebbe sbagliato provare a spiegartelo. La comicità sceglie il proprio pubblico, seleziona a chi arrivare. E non scusarsi mai è il modo in cui un comico diventa un grande comico: scegliendo a chi rinunciare.
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