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Questo articolo è stato pubblicato il 24 maggio 2015 alle ore 08:14.

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Warburg scompare nel ’29 a 63 anni lasciando una scarsa bibliografia, rispetto ai suoi studi; il suo saggio più noto, La rinascita del paganesimo antico, è tratto dalla raccolta del 1932, Gesammelte Schriften, a cura del suo primo collaboratore Fritz Saxl. Si può dire che la sua fama e il suo prestigio siano legati anche alla continuità dell’Istituto animata dagli scholars, oltre a Cassirer e a Panofsky e, tra gli altri, Edgar Wind, Rudolf Wittkower, tra i più prestigiosi della seconda metà del secolo scorso, magari con le loro opere derivate da filoni diversi, se non opposti, secondo l’attitudine bifronte del Maestro. È il caso di Ernst Gombrich, del “partito” neo-illuminista, che nella sua Biografia intellettuale di Warburgfornisce del suo irrazionalismo una chiave genetica, anche clinica, mentre Frances Yates ne diffonde e amplia, per un’udienza diversamente ricettiva, l’interesse per la tradizione ermetico-cabbalistica. Ora, sfuggito al tentativo di devastante omologazione, il Warburg ha ripreso serenamente il suo cammino, anche se la University of London, in cambio della rinuncia di fare appello alla sentenza, gli ha chiesto l’impegno a trovarsi finanziamenti integrativi, pratica del tutto usuale nel mondo accademico americano e un po’ meno nella vecchia Europa. Sembra un buon auspicio, in questo senso, che il nuovo direttore del Warburg, David Freedberg, sia americano, proveniente dalla Columbia University.

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