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Questo articolo è stato pubblicato il 24 maggio 2015 alle ore 08:14.

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La partecipazione di Raúl Castro ai festeggiamenti per il 75° anniversario della vittoria dell’esercito russo sul nazifascismo, gli incontri con il papa Francesco e poi con Renzi nel breve tempo di una mattinata e il rapido ritorno a Cuba per ricevere Hollande, sono i segni della grande offensiva internazionale di Cuba avviata con la riapertura dei rapporti con gli Usa. Si tratta della volontà di ricollocare il Paese caraibico nel panorama internazionale forse con volontà di bilanciare con l’Europa i possibili squilibri che potrebbero nascere nel rapporto con il potente vicino del nord.

L’azione politica e diplomatica mostra un Raúl Castro solido e capace di gestire il passaggio delicato con la stessa autorità con cui lo faceva suo fratello Fidel. E ciò dopo un ciclo in cui era legittimo chiedersi se i cinquanta anni della Rivoluzione cubana fossero trascorsi all’ombra del líder máximo e con la conseguenza che tutto il resto dovesse muoversi in sottordine. Raúl ostenta autorevolezza e disinvoltura e chiarisce che la Cuba che è venuta fuori dal período special succeduto alla crisi dell’Urss e con Fidel Castro non più sulla scena è consapevole del cammino difficoltoso intrapreso.

La seconda questione è che Cuba è in grado di richiamare l’attenzione e di suscitare domande. Lo testimonia la rilevanza con cui i mass media trattano l’evento in corrispondenza ovvia dell’importanza che danno ad esso i Paesi interessati ribadendo ancora una volta che Cuba è un fenomeno quanto meno culturale per la sua capacità di andare oltre le righe e di imporsi all’attenzione, malgrado la sua importanza economica non sia tale..

La terza questione è la centralità che hanno in tutto il progetto la Chiesa di Roma e il papa Francesco, che in settembre visiterà Cuba. Il papa è argentino ed è cresciuto in un ambiente sociale e culturale in cui è forte la domanda storica di una dignità negata e non è casuale che Bergoglio abbia posto il tema della dignità dell’uomo al centro del suo magistero. Orbene, il papa sa bene quale ruolo ha avuto Cuba in America Latina nella lunga storia di quella regione per l’affermazione di identità e dignità negate. E il papa e Cuba sanno ambedue che uno dei grandi protagonisti della vicenda storica che ha aperto un nuovo cammino nei rapporti tra gli Usa e l’America Latina è l’argentino Ernesto Che Guevara.

Sono questioni che hanno valenza civile e culturale che ribadiscono che c’è una convergenza tra la Chiesa di Roma e Cuba e che questa si verifica sul tema della dignità dell’uomo che purtroppo non ha molti protagonisti sulla scena politica nazionale e internazionale e di cui la tragedia delle migrazioni è un esempio fin troppo evidente.

La questione non è estranea al rapporto fra Cuba e gli Usa che storicamente ha avuto atteggiamenti di arroganza verso il Paese caraibico dalla dottrina Monroe e dalla progettazione esecutiva illustrata con la Conferenza Panamericana di Washington del 1889-90. L’azione degli Stati Uniti è stata sempre di contrapposizione e di sovrapposizione ai legittimi processi di indipendenza che i Paesi dell’America Latina avviarono agli inizi dell’Ottocento e rimasti sostanzialmente frustrati per la loro invadenza condizionante e tutt’altro che pacifica. Nel caso di Cuba e del suo processo di indipendenza che si realizza tra il 1895 e il 1898 c’è addirittura l’aggravante dell’intervento diretto che espropria il Paese caraibico anche della gloria di una guerra vinta sul campo dall’esercito libertador dei cubani e il peso dell’emendamento Platt che legittima l’intervento degli Usa secondo valutazioni di suo interesse.

Ma se il problema dei rapporti Cuba-Usa ha una sua forte valenza culturale, bisogna anche considerare che a Cuba l’assunzione di una coscienza storica e di dignità non sono un’esclusiva dell’apparato dello Stato e del mondo culturale cubano cosiddetto ufficiale.

La rivoluzione cubana ha generalizzato il diritto all’istruzione, il diritto alla salute e al lavoro e ad altri diritti che hanno permesso una crescita straordinaria delle generazioni che dopo il 1959 hanno potuto giovarsene. Ed è accaduto che il problema storico dei rapporti con gli Usa che la rivoluzione castrista ha dovuto affrontare e subire, sia diventato anche un problema della società cubana oggi più istruita e più consapevole della problematica economica e sociale in cui si ritrova. E del suo mondo culturale che si caratterizza, come dappertutto, con azioni e protagonismi soggettivi a volte scomodi soprattutto per un sistema politico dove i fattori ideologici hanno un ruolo di rilievo.

Insomma si è verificato che degli intellettuali e degli artisti siano interessati all’essere cubano e al suo destino oltre lo spazio tracciato dallo Stato in senso temporale e ideale. Per cui sulla scena del Paese ci sono non solo la dignità generata dalla rivoluzione castrista, ma anche quella di altri momenti della storia di Cuba, come ha voluto dire Mario Coyula con il romanzo Catalina che recupera l’importanza culturale di una borghesia nata dalla guerra per l’indipendenza e cancellata forse più per pigrizia che per necessità. O come scrivono di altre questioni anche ideologiche, scrittori come Leonardo Padura che è una voce dissonante che però si riconosce in una valenza tutta interna al Paese e ben radicata. Se negli anni Sessanta un regista come Tomás Gutiérrez Alea (Titón) faceva un film come Memorie del sottosviluppo tratto dal romanzo omonimo di Edmundo Desnoes che faceva un viaggio introspettivo di un borghese in una società nell’effervescenza rivoluzionaria, oggi l’eco di quell’atteggiamento dello stesso Desnoes è Memorie dello sviluppo che entra invece nell’inquietudine di un intellettuale non più affascinato dalla rivoluzione senza però esserne un nemico. E si tratta anche di vicende personali dello scrittore andato negli Stati Uniti dove ha vissuto tra il 1980 e il 2003 e del regista Miguel Coyula che ne ha tratto un film. L’uno e l’altro vivono oggi a Cuba.

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