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Analogie

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Analogie

Come possono i computer essere così terribilmente stupidi, malgrado la loro velocità così fenomenale e la loro memoria smisurata e infallibile? E al contrario, come possono gli esseri umani essere così acuti malgrado la loro velocità così mediocre e la loro memoria limitata e decisamente fallibile?». Questa è solo una delle innumerevoli questioni sollevate da Superfici ed essenze: L'analogia come cuore pulsante del pensiero, l'ultimo libro di Douglas Hofstadter, scritto con lo psicologo francese Emmanuel Sander (pubblicato da Codice nella accuratissima traduzione di Francesco Bianchini e Maurizio Codogno). Hofstadter, oggi docente di Scienze cognitive e Letterature comparate della Indiana University, è noto soprattutto per essere l'autore di un capolavoro della divulgazione scientifica: il classico Gödel, Escher, Bach (premio Pulitzer nel 1980, tradotto in italiano da Adelphi).

In Superfici ed essenze troviamo anche la risposta alla domanda sulla differenza tra un uomo e una macchina intelligente. Per Hofstadter e Sander non ci sono dubbi; c'è una cosa che gli uomini possiedono e i computer no: la capacità di fare analogie. Che cos'è un'analogia? In genere la intendiamo come il rapporto che la mente coglie fra due o più cose che hanno qualche tratto in comune. I manuali di retorica di solito si rifanno ad Aristotele e parlano di «uguaglianza di rapporti». Secondo Hofstadter e Sander è molto di più: «La scoperta di analogie pervade ogni momento del nostro pensare, e costituisce perciò il cuore del pensiero». Molti filosofi e scienziati della mente invece assegnano all'analogia una posizione marginale: le riconoscono un ruolo nel processo creativo, di rado la considerano una vera e propria fonte di conoscenza. Hofstadter e Sander si schierano contro questa tradizione: «Le analogie non accadono nelle nostre menti solo una volta a settimana o una volta al giorno o una volta all'ora o magari una volta al minuto. No, le analogie zampillano nelle nostre menti più volte, ogni secondo. Nuotiamo senza sosta in un oceano di medie e grandi analogie, spaziando dalle banalità più terra terra alle intuizioni più brillanti». Nelle oltre seicento pagine del saggio non viene proposta una definizione rigida di analogia. I due studiosi preferiscono servirsi di esempi, lunghi elenchi di esempi. Secondo gli autori ci serviamo dell'analogia quando diciamo: «Questo è un tavolo» (richiamiamo alla mente i tavoli che abbiamo già percepito), così come l'ha usata come fonte di conoscenza Albert Einstein per formulare la teoria della relatività (all'argomento viene dedicato un intero capitolo).

Tutto questo un computer, anche il più sofisticato e potente, non è in grado di farlo. Le analogie permettono agli uomini di costruire categorie, un passaggio necessario per la conoscenza. Se percepissimo il mondo senza categorie, saremmo come neonati. Al contrario, vedere il nuovo basandosi sul vecchio e il familiare (cioè: servirsi delle categorie basate su analogie), permette di trarre vantaggio dalla conoscenza acquisita in precedenza. Così si spiega perchè un uomo, pur con tutti i suoi limiti, avrà la meglio su quelli che gli autori chiamano Giganti Elettronici Dementi: «La loro competizione nel comprendere il mondo circostante potrebbe essere paragonata a una gara tra una persona e un robot per salire su un tetto molto alto, gara in cui all'umano sarebbe permesso l'uso di una scala preesistente mentre al robot sarebbe richiesto di costruire la propria scala a partire da zero». È chiara l'analogia?

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