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Questo articolo è stato pubblicato il 31 maggio 2015 alle ore 08:13.

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Ma a che cosa servono queste congetture, se non raggiungiamo la certezza? Non sappiamo se i due bronzi di Riace siano opera di uno scultore o di due, non sappiamo quando furono rimossi dal luogo originario, né quando naufragò la nave che li trasportava, e almeno fino a quando non sarà approntata (come si spera) una riproduzione sperimentale del Riace B con la sua alopekis in testa potremo dubitare che sia questa la ricostruzione giusta. Eppure se li immaginiamo, i due bronzi, come possenti guerrieri realisticamente rappresentati mentre si fronteggiano, l’uno (Eretteo), armato alla greca, con l’aria di sfida del vincitore, l’altro (Eumolpo), con il più leggero armamento trace e l’aria malinconica di chi sarà sconfitto, se li pensiamo «pronti alla battaglia» ma proletticamente consapevoli del suo esito, allora certe differenze fra l’uno e l’altro potremo interpretarle in senso squisitamente narrativo. Non «il vecchio» e «il giovane», ma il vinto e il vincitore; non un intervallo di dieci o vent’anni tra l’uno e l’altro, ma due opere contemporanee piegate a esprimere il differenziato ethos dei contendenti. Se fosse confermata l’attribuzione a Mirone del Riace A, anche il B risalirà alla sua bottega? Difficile dirlo: certo, il fluttuare delle zampe della volpe, liberamente svolazzanti intorno alla sua testa, ricorda da vicino le corregge di cuoio del pugile di Mirone (il cosiddetto Atleta Amelung), anch’esse sospese a mezz’aria e fissate sulle spalle. Il complicato dossier dei bronzi di Riace, i più importanti originali greci in bronzo oggi conservati, non si chiude con queste congetture. Ma diventa molto più interessante, molto più stimolante.

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