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La fame d'amore di Sarah Kane

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Teatro

La fame d'amore di Sarah Kane

Del mondo aveva, moralmente, una visione catastrofica senza speranza. Chiuse la sua vita con l'implorazione: “per favore aprite le tende”, una richiesta e un bisogno di luce che potesse illuminare la sua esistenza. Una luce disperata sulla scrittura di Sarah Kane, la drammaturga inglese morta suicida nel 1999 a soli 28 anni, che ha saputo interpretare il Novecento con cinque suoi testi segnando in maniera irreversibile la scena europea, ce la dà Pierpaolo Sepe mettendo in scena “Crave” (al Napoli Teatro Festival).

Quattro personaggi senza nome, col caos dentro, alla deriva della vita, vaganti, in cerca di amore. Tutti lo chiedono. Lo vorrebbero. Ne hanno fame. Sepe colloca queste anime fragili e danneggiate in uno stanzone con quattro finestre sul fondo, ciascuna delimitata da una piccola parete. Ciascuna una cella nella più grande prigione – carcere o manicomio – che li tiene ancora aggrappati alla vita. Guardano inquieti fuori dalla finestra, poi verso di noi. Avanzano fermandosi davanti ad una rete metallica che li divide dal pubblico. Qui, sempre in penombra, sostano frontalmente, dialogano tra di loro senza mai guardarsi; ci scrutano; ci parlano come attraverso la grata di un confessionale. E si rivela una lunga confessione quel loro concitato flusso di pensieri e di parole cariche di violenza, di ricordi, di rabbia, di erotismo, di disperazione, di richieste inappagate. Sono due uomini e due donne: un anziano che ha una storia morbosa e violenta con una adolescente che non lo tollera; e una donna matura che desidera a tutti i costi avere un figlio, e lo vuole senza amore, da un ragazzo che la rifiuta in modo umiliante. I dialoghi, e i monologhi, sono spezzettati, ripresi l'uno dall'altro e intrecciati. Nei momenti di silenzio urlano, corrono, perdono il controllo di se stessi, cadono e ricadono avanzando e indietreggiando. Chiamano qualcuno nel vuoto ascoltando come risposta la propria eco. Si denudano per scambiarsi gli abiti e invertire i ruoli. Battono sulla rete metallica, vi lanciano con veemenza pupazzetti e bamboline che si conficcano tra le maglie, vi si arrampicano tentando di scavalcarla per cercare una via di fuga, ma desistono e ritornano a immobilizzarsi, paralizzati emotivamente. Nel successivo vagare come animali in gabbia si incontrano fugacemente catturando un abbraccio subito staccato, perché, sembrano dirci, è impossibile amarsi. Dirigendo quattro encomiabili attori, Gabriele Colferai, Dacia D'acunto, Gabriele Guerra e Morena Rastelli, Sepe realizza una superba messinscena. Anche nel movimento dei loro corpi intermittenti, sfacciatamente e timidamente esposti nella loro nudità, tramortiti dal loro stesso peso che li atterra e suscita, ne fa un'onda coreografica. Che si spegne sulla voce di Jeff Buckley mentre uno di loro continua, con sempre meno forza, a battere sulla grata.

“Crave” di Sarah Kane, regia di Pierpaolo Sepe, scene Francesco Ghisu, costumi Annapaola Brancia D'Apricena, luci Cesare Accetta, movimenti di scena Chiara Orefice. Alla Sala Assoli del Teatro Nuovo, per il Napoli Teatro Festival Italia.

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