Cultura

A Udine si celebra il jazz con Bollani e Hiromi

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UDIN&JAZZ

A Udine si celebra il jazz con Bollani e Hiromi

A Udine si celebra il jazz, ancora una volta (ed è la venticinquesima). Un certo jazz, a dire il vero, inteso come musica pensata, costruita e improvvisata da grandi autori contemporanei e viventi (le due cose non sempre coincidono), che ci mostrano come si possa essere pop senza essere mainstream. E non viceversa, come a volte accade a quei linguaggi che nascono in strada e vanno in pensione nelle Accademie. Fino al 31 luglio, la città di frontiera con il destino condiviso tra Mediterraneo e Mitteleuropa, ospita al festival “Udin&Jazz” alcuni protagonisti di quella musica che, novantotto anni fa (la Original Dixieland Jass Band del siciliano Nick La Rocca registrò il primo album della nuova musica nel 1917), mostrò al mondo come l'urgenza, quella vera, possa creare paradisi creativi.

A cominciare da Caetano Veloso, qui insieme a Gilberto Gil: Dois amigos, um seculo de musica. Vale la pena esserci, a prescindere; i due campioni del tropicalismo e della Musica Popular Brasileira hanno fatto della bossa nova (Veloso) e della samba (Gil) la soffice e disimpegnata (ma anche colta) colonna sonora dell'estate, per almeno cinquant'anni. E ci saranno il sempre amabile Chick Corea, l'energico Carl Verheyen (il chitarrista dei Supertramp), l'attrezzato duo pianistico Pieranunzi-Canino e il grande Ron Carter, il contrabbassista (classe 1937) che ha suonato e regitrato con tutti, da Herbie Hancock a Wynton Marsalis a Miles Davis. Vecchie, vitali glorie, capaci di fare musica popolare e di qualità, finanche divertendosi. Living history, senza dare a noi, dall'altra parte, l'impressione di trovarci al museo.

Insieme a loro, al Castello di Udine, un tentativo di narrazione del migliore dei mondi possibili del jazz lo fanno due pianisti e compositori di musiche improvvisate, nati dopo la rivoluzione del jazz e dunque pronti a fare la loro: Stefano Bollani (in quartetto, il 20 luglio) con il suo “Sheik yer Zappa” e la giapponese Hiromi Uehara (mercoledì scorso). Bollani fa la cosa più ovvia, quella che mancava, ossia un libero omaggio a Frank Zappa, altro italo-americano che fu e che in qualche modo continua a illuminare, come un faro psichedelico, le rotte scomposte della musica d'oggi: «Ogni frammento della sua musica ci fa pensare che debba succedere ancora qualcosa; ed è esattamente quello che accade, sempre». Hiromi, nata nel 1979, ha un destino segnato.

La sua (atipica, a quelle latitudini) maestra di piano le diceva: “suona rosso!” Potere della sinestesia (ci aveva provato già Skrjabin, jazzista ante litteram); ora, anche lei suona con disinvoltura quello che il suo ascolto ha “cucinato” negli anni, privando la sua musica di ogni possibile “nome” e presentandosi con la disinvoltura di una vocalist pop, senza però essere mainstream. La ricetta consiste nell'improvvisare piatti unici, a volte piatti semplici, con invenzioni nel gusto, non nel piatto. Ecco il nuovo jazz, libero anche quando non è free.

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