Chi sa solo di medicina, non sa niente di medicina. Bravo, dottor Bronzetti, non perda mai quel senso di missione che traspare in ogni riga della sua lettera. È bello scoprire che da Bologna a Milano, passando per Pisa fino al Sud di dentro del Cilento, sono tanti i medici che trasmettono ai malati quell’amore per il loro lavoro che ho visto stampato nel cuore e negli occhi dei medici del Gemelli di Roma, scuola di medicina e di umanità, qualche settimana fa.
Chi arriva in una corsia di ospedale ha bisogno del suo “medico di famiglia” perché la debolezza e la paura lo rendono più fragile e avverte l’esigenza di «essere preso per mano e aiutato». Sente il bisogno di essere sempre al centro dell’attenzione del medico e se ne accorge subito quando accade oppure no, la fiducia e la tranquillità fanno parte della guarigione dalla malattia.
Le testimonianze che pubblichiamo, di seguito, tra le tantissime ricevute, non dimostrano che il malaffare della sanità pubblica e privata non esiste, purtroppo c’è e va perseguito con determinazione assoluta, ma ci regalano pezzi di verità, fatti e storie di uomini in carne e ossa, che appartengono all’anima e al cuore profondo di questo Paese, ci donano un sorriso e una speranza e ci riconciliano con le mille amarezze di questi tempi tormentati. Buona lettura.
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Caro Direttore,
leggendo il suo Memorandum di domenica 21 giugno (“Quella scuola di medicina e umanità del Gemelli”) non ho potuto fare a meno di avvertire una forte risonanza con l’analoga esperienza da me vissuta tre mesi fa presso l’ospedale Niguarda di Milano, dove sono stato ricoverato prima al pronto soccorso e quindi nel reparto di cardiologia per un periodo di due settimane. In tutto questo tempo ho avvertito chiaramente da parte di tutto il personale con cui sono venuto in contatto la coscienza di svolgere una missione, quella di curare il paziente attraverso tutti i mezzi a disposizione. Durante la mia permanenza ho avuto costantemente la sensazione di essere in quanto paziente al centro dell’attenzione e questo mi ha permesso di vivere con grande tranquillità un periodo altrimenti critico. E questo in quanto paziente “qualunque” poiché non avevo alcuna conoscenza pregressa all’interno dell’ospedale. Quest’esperienza mi ha fatto pensare che nonostante tutto dobbiamo essere fieri di vivere in un paese dove un valore fondamentale come la salute dei cittadini è ancora così salvaguardata in una struttura totalmente pubblica, e che se pagare le tante tasse che paghiamo serve a questo scopo dobbiamo esserne contenti.
Antonio Manfrin
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Caro Direttore,
è bello leggere di queste storie di medici e medicina ma soprattutto di uomini che quando abbiamo bisogno ci prendono per mano e ci aiutano. Io vivo nel Sud, nel Cilento, non abbiamo la sanità migliore del paese, ma abbiamo tanti medici che con sacrifici e caparbietà mandano avanti ambulatori, ospedali, centri di ricerca. Ognuno di noi dovrebbe cercare nella propria memoria e non ho dubbi che tutti troveremmo un’esperienza di umanità e rigore che arriva dal mondo della medicina. Ci sono i problemi, ci sono i casi di malasanità, di spreco e sperpero, ma ci sono tanti e tanti motivi per farci sperare e guardare avanti con un sorriso di fiducia.
Antonio Prinzo
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Caro Direttore,
sono bibliotecaria alla biblioteca internazionale di Rapallo e la lettura del Domenicale mi da sempre qualche spunto in più per suggerire libri e proporre acquisti per la biblioteca. Questa mattina ho letto con entusiasmo e interesse il suo articolo in merito alla scuola di medicina e umanità del Gemelli perché in un passato abbastanza recente ho provato cosa vuol dire umanità, missione del medico e professionalità proprio in prima persona. Nello scorso ottobre sono stata infatti ricoverata per una caduta accidentale e operata a Pisa presso la Clinica universitaria 1 ortopedica traumatologica diretta dal professor Michele Lisanti. Anche all’ospedale a Pisa, le posso confermare, come lei evidenzia nel suo scritto, sono stata veramente, come si dice, presa in cura dall’ortopedico Marco Maltinti che mi ha operato alla spalla destra e seguendo i suoi preziosi consigli ho avuto un ottimo recupero dell’articolazione, sebbene fin da subito mi avesse spiegato che si trattava di una brutta frattura! La ringrazio per il suo articolo e spero che lo leggano in molti, medici e non.
Tamara Olivari
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Caro Direttore,
il suo Memorandum del 21 giugno mi ha colpito. La medicina e l’umanità che cita nel titolo dovrebbero essere non solo la passione dei dottori del Gemelli di cui parla, ma l'ossessione di tutti i medici. Soprattutto i giovani medici dovrebbero essere fanatici dell'uomo, e la Medicina Narrativa (parte delle Medical Humanities, insieme a sociologia, psicologia, filosofia, antropologia culturale, bioetica, arti espressive, musica, eccetera), di cui proprio la Domenica ha cominciato ad occuparsi per prima anni fa, è uno strumento favoloso per coltivare questa magnifica ossessione. Un racconto che parla di un malato (uno degli esempi più sommi è «La morte di Ivan Ilic» di Tolstoj, ma anche la «Metamorfosi» di Kafka), un malato che scrive un diario, un medico che riflette sul suo mestiere sono esempi di Medicina Narrativa. Ma per scrivere occorre leggere ed ascoltare, e i medici leggono e ascoltano poco. È un peccato, perché che cosa sono l’anamnesi, la diagnosi e la prognosi di un uomo se non le racconti? E i medici non leggono perché sono sommersi e distratti da burocrazia sorda, medicina difensiva, linee guida cieche, guardie senza fine. Non compriamo i giornali e non riusciamo nemmeno a leggere quelli che ci regalano sul treno quando andiamo ai congressi perché dobbiamo preparare le diapositive sul pc senza nemmeno vedere chi ci sta davanti.
Tra poco si svolgeranno i test per l’ingresso alla facoltà di Medicina. Non c’è un test per misurare l’umanità dei dottori ma ci sono testi che possono stimolarla. Gli aspiranti dottori possono cominciare la loro carriera da molti giornali, anche quelli rosa, con o senza supplementi. Chi sa solo di medicina, non sa niente di medicina.
Gabriele Bronzetti
roberto.napoletano@ilsole24ore.com
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