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Stava insegna, trent'anni dopo

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discariche di miniera

Stava insegna, trent'anni dopo

La memoria è essenziale. Quindi, per prima cosa, i fatti: venerdì 19 luglio 1985, a mezzogiorno e ventidue minuti, una colata di fango e detriti travolge la val di Stava, facendo 268 vittime e 20 feriti, distruggendo tre alberghi, 53 case, sei capannoni e otto ponti. Un'intera vallata trentina, divenuta negli anni località turistica, viene ricoperta da uno strato di fango per 435mila metri quadri, l'equivalente di 62 campi di calcio. Graziano Lucchi spiega: «I bacini dove venivano scaricati i residui di lavorazione per l'estrazione della fluorite, dalla miniera sul monte Prestavèl, erano stati costruiti in un terreno acquitrinoso e dalla pendenza eccessiva, alimentando la costruzione degli argini nel modo più insicuro e posizionando nel punto sbagliato le condutture di sfioro. Nel 1961, quando fu costruito il primo bacino di decantazione, si consigliò un'altezza massima di nove metri. Nel 1969, quando si avviò il secondo bacino, a monte del primo, l'argine aveva superato i 25 metri».

Ma la memoria non deve diventare rancore. L'evento di trent'anni fa, causato da una somma sciagurata di pressapochismo e negligenze, diventa pungolo per conoscere e possibilmente prevenire. E Graziano Lucchi, che nel disastro perse i genitori, da allora si impegna presiedendo la Fondazione Stava 1985 Onlus (www.stava1985.it) a raccontare la storia di Stava e a promuovere studi e ricerche sul trattamento dei residui delle attività estrattive. Perché, in questi trent'anni, per altre 55 volte le discariche di miniera hanno provocato incidenti rilevanti in tutto il mondo. Due incidenti all'anno. E, nella sola Unione europea, dalle attività estrattive proviene il 29% di tutti i rifiuti.

Allora la memoria serve a formare e informare. In questi giorni la Fondazione Stava 1985 ha promosso tre giornate di alta formazione indirizzate a geologi e ingegneri (con la partecipazione del consiglio nazionale dei geologi) per discutere di discariche, bacini di decantazione, gestione dei rifiuti delle attività estrattive. Un modo, anche, per raccontare la storia di Stava: al Parlamento europeo, alla Camera dei deputati, negli stessi luoghi del disastro. Dove proprio oggi ci saranno escursioni guidate sul monte Prestavèl, nelle zone in cui sorgevano i bacini degli scarti che inondarono la valle. «Al momento del crollo, i bacini erano alti complessivamente 50 metri, con una pendenza di 39 gradi. Contenevano circa 300mila metri cubi di materiale. E in oltre vent'anni quelle discariche non erano mai state sottoposte a controlli degli uffici pubblici». Con episodi di paradossale burocrazia: «Nel 1974 il Comune di Tesero - si legge tra i documenti della Fondazione - chiese conferme sulla sicurezza della discarica al Distretto minerario della Provincia autonoma di Trento. Il Distretto minerario incaricò della verifica la stessa società mineraria, la Flurmine che apparteneva all'epoca al gruppo Montedison/Egam». Il controllore chiese al controllato di controllarsi. E fu deciso un ulteriore ampliamento del bacino a monte.

Nel processo penale che seguì, vennero condannati (con sentenza passata in giudicato) 10 persone, fra controllori e gestori. Nelle successive transazioni con le parti civili, vennero condannate a risarcire i danni Montedison, Industria Marmi e Graniti Imeg per conto di Fluormine, Snam per contro di Solmine, Prealpi Mineraria e la Provincia autonoma di Trento. Per un ammontare complessivo che ha ora raggiunto i 133 milioni di euro. «In lire, 260 miliardi», traduce Lucchi. «Eppure, quando negli anni Settanta si dovevano fare delle analisi per verificare l'impianto, si preferì non affidarsi a società specializzate, forse perché si temevano gli esiti. O forse perché si temevano i costi: 20 milioni di lire». Aggiorniamo in valuta corrente per i più giovani: poco più di 10mila euro.

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