Non solo un luogo a cui andare o da cui partirsene, quando si è stanchi. Una città è un racconto, che potete ascoltare per ore, per giorni o per una vita intera. Chi racconta la storia di Berlino, in questa estate 2015? Non ditemi che non l’avete pensato subito. Meno settanta, la cifra è tonda. C’è una Berlino ferma per sempre al 1945. E un’altra che si muove veloce. Anzi, parecchie altre, che ruotano l’una entro la successiva, a velocità diverse. Sono città in parte vere e in parte immaginarie, popolate di ospiti dai volti indistinti. Nonostante la burocrazia puntigliosa - siamo pur sempre nella vecchia Prussia - nessuno sa esattamente quanti siano. Gli italiani registrati al consolato sono ventiduemila. E quelli non registrati? C’è chi dice quarantamila, forse di più. Diecimila gli israeliani “ufficiali”, a cui vanno aggiunti tutti quelli col doppio passaporto, israeliano e tedesco. Nipoti o pronipoti di chi dovette emigrare a forza o fu trucidato. Nel cuore d’Europa, i numeri fluttuano misteriosi.
Certo, Berlino è in Germania, lo sa anche un bambino. Eppure, i giovani, poco più che ventenni, che sciamano qui da mezzo mondo sembrano non saperlo, o se lo scordano volentieri. La città gode ancora di una strana extraterritorialità, non quella cupa degli anni del Muro ma un’altra, più gentile dislocazione. Berlino sembra quasi sollevata a mezz’aria. Prendete i ragazzi israeliani. A loro non pare di trasferirsi in terra tedesca. Scelgono una sorta di limbo, o addirittura, un corrispondente postmoderno, e piuttosto provocatorio, della Sion dei tempi antichi. Nello scorso autunno, ha fatto furore una pagina facebook aperta da un anonimo, giovane israeliano, che issava un motto tra l’ironico e l’iconoclasta. “Olim le-Berlin”, immigrati a Berlino, e sin qui nulla, o quasi, di male, se non che il verbo usato – “olim” - è quello biblico che indica la salita alla Città santa, alta e altera sulle sue colline. Berlino come nuova Gerusalemme? Nel frattempo, il bloggaro si è rivelato per tale Naor Narkis, passato alle rive della Sprea dopo sei anni come ufficiale nei servizi d’informazione israeliani. E ha spiegato la sua protesta, condivisa da tanti coetanei di Tel Aviv o di Haifa. La vita a Berlino è molto, molto più a buon mercato di quanto non sia nelle città dello Stato ebraico. Tanto per fare un esempio, un pudding al latte costa tre-quattro volte meno, come dimostrano gli scontrini, postati in internet e subissati di likes, ragion per cui il movimento israelo-berlinese è stato subito ribattezzato “milky protest”, “protesta al latte”, con buona pace degli esterrefatti padri sionisti. Certo, sono fenomeni di breve durata, tanto che Narkis è tornato - sembra - in Israele. La somma di siffatte narrazioni individuali, o individualistiche, tra il serio e il faceto, costruisce tuttavia il mito della città giovane, aperta e creativa. Intendiamoci, Berlino è davvero tutto questo, ed è forse la meno tedesca delle città di Germania, non fosse altro per alcune clamorose prove d’inefficienza, valga per tutte l’incompiuto aeroporto internazionale di Schönefeld, in ritardo ormai di parecchi anni, a onta di politici e imprenditori locali. A paragone di altre metropoli del vecchio continente, Berlino può poi vantare un tasso relativamente basso di antisemitismo pubblico. Che sia reputata sicura, lo dimostra tra l’altro il fatto che in questi giorni, dal 27 luglio al 5 agosto, si svolgano qui le Maccabiadi d’Europa, ovvero le Olimpiadi ebraiche, con la partecipazione di più di duemila atleti ebrei provenienti da trenta Paesi. È la prima volta che i giochi si tengono in Germania, quasi una riparazione, seppure tardiva, ai torti della persecuzione. Nate negli anni Trenta del secolo scorso, in seno al movimento sionista, e intitolate ai Maccabei, gli eroi dell’antica rivolta anti ellenistica, le Maccabiadi volevano affermare un nuovo tipo di ebreo, sportivo e combattivo. Come spesso avviene a Berlino, un messaggio vecchio risuona attuale e vivo, quasi che, per le strade e i parchi di questa città, vasta e verde, fosse impigliata un’anima di lutti e d’energie.
Tutto è amplificato, e a maggior ragione cresce di tono e di valore simbolico quanto ha a che fare col giudaismo, giacché, da dove è venuto tanto male, spereresti giunga moltiplicato anche il bene.
Va da sé che non tutti gli attori sono in buona fede, e persino i ragazzi che si rifugiano qui per vivere e divertirsi a buon mercato contribuiscono alla trasformazione del profilo urbano. A quella che, con vocabolo ibrido e indigesto, s’usa ormai dire “gentrificazione”, recupero e abbellimento di quartieri decaduti, con conseguente allontanamento dei loro vecchi abitanti meno abbienti, sostituiti da nuovi arrivati, più benestanti. È un’ironia globalizzata, che giovani in fuga dalla gentrificazione di Tel Aviv o di Roma finiscano a fare da avanguardia alla trasformazione delle aree creative berlinesi, quasi fossero rabdomanti, spensierati e inconsapevoli, di futuri investimenti e speculazioni immobiliari. È quanto è avvenuto a Mitte, poi a Prenzlauer Berg, e ora si delinea a Neukölln, ove a un periodo più o meno lungo di vivacità “alternativa” fa puntualmente seguito la riqualificazione e la trasformazione in zona residenziale, costosa e ambita.
Chi racconta Berlino? Per lo più sono cantastorie venuti da fuori, che fanno qui le prove generali dei guai di casa propria. Più che romanzi, quelle berlinesi d’oggi sono storie brevi, episodi che si consumano in poche pagine. La vicenda effimera della milky protest è, in questo senso, significativa. Berlino è servita da lavagna per scrivere, in ebraico, un disagio tutto israeliano. «Siamo qui nello Stato più potente d’Europa a risparmiare soldi per comprarci un appartamento in un Paese del Medio Oriente, tormentato dai missili. È assurdo». Così Narkis, il protestatore milky, ha sintetizzato il paradosso della sua breve stagione berlinese. E se ci fosse qualcuno che si racconta dentro la storia di qualcun altro? Se questa città, centro d’Europa, non fosse altro che un labirinto di piccole patrie, ciascuna a modo suo, accostate, nitide, distinte? Leggerete nelle guide che Berlino ha più ponti di Venezia. Se li volete contare, le notti d’agosto sono ancora abbastanza lunghe per provarci.
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