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Festival di Locarno: delude «Southpaw» con Jake Gyllenhaal

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Festival di Locarno: delude «Southpaw» con Jake Gyllenhaal

Non c'è soltanto cinema d'autore al Festival di Locarno: mentre in concorso trovano spazio pellicole impegnate e pensate per un pubblico d'essai, nella cornice della Piazza Grande è stato presentato «Southpaw», nuovo film (con fini unicamente commerciali) di Antoine Fuqua con Jake Gyllenhaal.

L'attore interpreta Billy Hope, un pugile che, all'apice del successo, vede la sua carriera stroncata da una terribile tragedia: l'amata moglie viene uccisa sotto i suoi occhi e Billy toccherà il fondo, abbandonato dal suo manager e impossibilitato a vedere sua figlia, allontanata dai servizi sociali a causa del suo comportamento violento. Un nuovo allenatore, però, gli darà una seconda possibilità.

Classica storia “dalle stelle alle stalle” e viceversa, «Southpaw» segue binari narrativi consolidati e scade presto negli stereotipi e nei cliché: praticamente impossibile non farsi venire in mente la saga di «Rocky», «Million Dollar Baby» di Clint Eastwood, e tanti altri film sul tema del pugilato da cui pigramente prende (più di uno) spunto.
Se già la regia di Fuqua è scolastica e priva di verve, i limiti maggiori stanno nel copione di Kurt Sutter, qui alla sua prima prova da sceneggiatore per il grande schermo e… si vede. I colpi di scena sono telefonati, i dialoghi fiacchi, l'andamento generale della trama a dir poco prevedibile: tutto sa di già visto e non c'è spazio neanche per guizzi visivi degni di nota.

Gyllenhaal s'impegna ma è spesso sopra le righe e anche il cast di contorno non fa di meglio: persino Forest Whitaker (il suo allenatore) risulta svogliato e fin spaesato.
Nelle nostre sale uscirà a inizio settembre.

Quantomeno più originale è «El movimiento» di Benjamín Naishtat.
Ambientato nella prima metà del XIX secolo, il film racconta di un mondo – la pampa argentina – dove vige l'anarchia: gruppi armati esigono cibo dai contadini e ottenere giustizia sembra impossibile.

A capo di queste bande, fedeli al “movimiento”, c'è un uomo misterioso e bramoso di potere.

Inserito nella sezione Cineasti del Presenti, è un film indubbiamente politico e dalla forte componente allegorica, valorizzato da un elegante bianco e nero e da un raffinato gioco di luci.

Peccato che Naishtat, nonostante dimostri un talento più che discreto, incappi negli stessi limiti che hanno minato la sua opera prima, «Historia del miedo», presentata in concorso al Festival di Berlino 2014. All'interessante soggetto iniziale non segue una solidità narrativa degna di tale nome, la regia spesso gira a vuoto e il risultato rischia così di apparire un semplice esercizio di stile.
Le idee non mancano, ma bisogna ancora lavorarci sopra.

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