«Quando si invecchia, il mondo si restringe, diventa sempre più piccolo, gli amici piano piano vengono meno, anche le forze vengono meno, rottami la macchina e non guidi più, mio fratello è mancato due anni fa e ne aveva quattro più di me, ora a Spezia ci vado meno, ma non ci lamentiamo io e mia moglie, siamo felici, abbiamo due nipoti bellissimi e combattiamo il caldo con i condizionatori». Sergio Giromini ha 86 anni compiuti, è spezzino, ma vive a Genova da mezzo secolo, è un dirigente generale dello Stato in pensione, collega e amico di mio padre, ha una voce gentile, e mi dice al telefono queste parole piene di vita e di serenità che mi colpiscono.
Sono io ad averlo cercato, sentivo il bisogno di ringraziare perché ho ricevuto da lui qualche giorno fa una lettera, scritta a mano, bellissima che parla dei miei genitori, che non ci sono più, e mi rivela particolari sugli affetti più cari che ignoravo e mi percorrono la schiena come un brivido, torno con il cuore all’infanzia e all’adolescenza che restano per sempre. La lettera inizia così: «Caro Roberto, scusa la confidenza, ma non avrei potuto rivolgermi a te in altro modo, d’altra parte a un vecchio di 86 anni molto si concede, tanto più se non chiede favori. Ho avuto occasione di vederti in televisione: il nome, il fisico piuttosto robusto e il viso arrotondato, mi hanno indotto a pensare che tu avresti potuto essere il figlio di Giuseppe, mio carissimo amico e collega, è stato il mio maestro, ricordiamo la mamma dolce e assennata che conviveva bene con quel carattere forte e trascinatore. Poi il trasferimento da Spezia di tuo padre nel 1976 comportò una perdita di contatti, che una morte tanto prematura rese poi definitiva. Ti scrivo, però, non solo per ricordare il passato, cosa questa consueta nelle persone anziane, ma essenzialmente per manifestarti la soddisfazione che esprimeva tuo padre quando parlava di te, e il conseguente piacere che provo io oggi nell’apprendere che hai appagato le sue attese».
Mio padre se ne è andato a 59 anni, io ne avevo 23, secondo di cinque figli e il sogno già realizzato di fare il giornalista. Per me era una specie di Cassazione, ogni volta che avevo un problema mi rivolgevo a lui, emetteva la “sentenza” e io eseguivo, una sicurezza che si trasformò all’improvviso in un vuoto sordo e pesante. Posso dire, però, che mio padre, burbero con tutti, con me è stato sempre molto duro e parco di complimenti, fino all’ultimo giorno, era severo e esigente, è riuscito a suo modo, con poche parole e il comportamento, a insegnarmi a “non strisciare mai” (quanto mi ha aiutato nei lunghi giorni della disoccupazione!) e a fare sempre affidamento sulle mie forze, a non accontentarmi mai se sapevo di potere fare di più. Oggi apprendo che quella soddisfazione che non ha mai voluto dare a me, la esprimeva con gli amici più cari, e da genitore capisco perché lo facesse.
Vorrei potere abbracciare mio padre, come succedeva da bambino, ma non posso, lo faccio con Sergio Giromini («Dietro la severità si celava un uomo estroverso e birichino, l’esatto contrario di me schivo e riservato, la diversità ci univa») che mi ha regalato una foto dove ci siamo io a un anno («un bimbo paffutello» come scrive lui) e Laura, una delle sue due figlie a tre anni, che è morta «purtroppo» a 38 («la vedi al centro, indossa un vestitino scuro, io sono dietro di lei in maniche di camicia» è il suo modo asciutto di raccontare un dolore immenso). A volte, la vita è profondamente ingiusta, ma regala gioie insperate che coprono il vuoto della sofferenza. «Sai, da vent’anni sono in pensione, e da vent’anni io e mia moglie viviamo giorno per giorno soddisfatti» mi congeda emozionato al telefono Sergio Giromini. Lui non me l’ha detto, io li guardo nella foto di cinquant’anni fa che mi ha fatto trovare nella lettera, e me li “rivedo” oggi mano nella mano: lui e la sua signora, esattamente come il primo giorno, con la stessa semplicità. La forza dell’amore di una vita.
© Riproduzione riservata