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Quel Bukowski poeta della malinconia

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Quel Bukowski poeta della malinconia

  • –di Orazio Labbate

“Sono un ubriaco che cerca di stare alla larga dalla bottiglia per una sera; la tv mi ha assuefatto con facce ammuffite che non dicono nulla. Sono nudo e solo sul letto; tra le lenzuola attorcigliate leggo una rivista scandalistica da supermercato e sono stufo della noia vigliacca delle vite famose[…]ho vinto 468$. Guardo il soffitto. I soffitti sono amichevoli quanto i coperchi delle tombe…”
E' tornata alla luce la potente e nostalgica voce di Charles Bukowski, attraverso il volume: “Mentre Buddha sorride”(Guanda editore), inedita raccolta di componimenti in versi (in totale ventisette).

Poesie che non si distaccano dalla materica (e per tale importante ragione, spiritualmente abissale), elegia a cui ci ha da sempre abituato lo scrittore statunitense di origine tedesca, giacché anche in questa riunione non vengono a mancare le parabole bukowskiane dell'amore dalla veste cruda e quindi nostalgica; del microcosmo reale del bar dell'ippodromo quale luogo di imperituri sentimenti e di combattimento; oppure dell'infanzia del poeta che si introduce sottilmente in un suo ricordo terribile e secco legato al compagno di classe Burns.

Così nel componimento “la mattina dopo” ove una scena intima, descritta con lingua semplice- “lei chiude gli occhi si gira nel letto dandomi le spalle e si tira le coperte fin sopra la testa”- si anima perché elettrizzata da una prosa che è in potere di insinuarsi nella sensibilità di una vita minima necessariamente reclusa all'interno di una camera affinché la poesia stessa prenda esistenza.

O ancora in “cagnacci in scarpe di cemento” nel quale stavolta lo scrittore, segnato nel profondo dal qualunquismo letterario di un gruppo di “volti senza nome”, costruisce una sentita invettiva in difesa di Céline, Kerouac, Ferlinghetti, Hemingway, Henry Miller, Tolstoj, Mailer.

Si percepisce vividamente nei componimenti, inoltre, l'inestimabile capacità di Bukowski di dare verbo poetico alla tristezza del vivere, e al destino incombente di lui stesso il quale assume addirittura sorprendenti tinte apocalittiche e definitive in “l'ultimo inverno”: “vedo questa tempesta finale come nulla di serio agli occhi del mondo. Il mondo e io raramente siamo d'accordo su molte questioni. Ma adesso possiamo essere d'accordo che arrivi, che arrivi. Ho già aspettato troppo a lungo”.

Non dimentichi dell'inesauribile sensibilità, mai in evidenza romantica, che alcune poesie dichiarano durante frammenti underground corredati di bottiglie vuote e dimenticate, come in: “ho visto un randagio ieri sera” che recita: “lungo il vicolo se ne andava- il cane di nessuno in mezzo a tutto quello, coraggioso quanto un esercito”.
Senza tralasciare, infine, il componimento “una bella pazzia” dove una netta maestria metaforica permette di avvertire l'urlo silente con cui Bukowski incorona la Scrittura verso la quale dimostra, a dispetto della sua tristezza, un'incrollabile e infuocata fede: “Sono entrato nel gruppo dei grandi ubriaconi dei secoli: Li Po, Toulouse-Lautrec, Crane, Faulkner. Sono stato prescelto, ma da chi?[…]è molto tardi adesso, un cane solitario latra nella notte. E io sono giovane quanto il fuoco che ancora brucia dentro.”

“Mentre Buddha sorride.”
Di Charles Bukowski, Guanda Editore (collana Quaderni della Fenice), pagine 140-2015, 14,50 euro

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