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Questo articolo è stato pubblicato il 30 agosto 2015 alle ore 08:15.

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Anche in America si apriva una nuova epoca storica. La concentrazione dei capitali andava operandosi rapidamente all’ombra dell’imperialismo yankee, mentre la massa lavoratrice, via via più sfruttata, e la piccola borghesia, sempre più allarmata dal dominio assoluto della plutocrazia, cercavano di contenerne l’espansione. Il socialismo americano faceva la sua prima timida comparsa sulle coste del Pacifico. Iniziò allora una campagna di stampa in grande stile, sui quotidiani e sulle riviste, che aveva per bersaglio il capitalismo finanziario americano.

Editori intraprendenti aprivano le colonne dei loro periodici alle «rivelazioni» sulla favolosa accumulazione dei trusts. Inoltre, si «indagava» sull’origine delle grandi fortune americane. All’interno della gran massa dei lavoratori d’America, il solo strato aristocratico degli operai qualificati, cristallizzato nell’American Federation of Labor, ricavava vantaggi evidenti da una congiuntura di boom economico. E il tradimento dei capi dell’AFL finì per essere così trasparente da riuscire impudente: capi che si vendettero al Tallone di Ferro, si arruolarono (come John Mitchell) nella sua milizia, oppure – grazie a provvidenziali «sussidi» – divennero rapidamente milionari.

Jack London guarda al 1905 attraverso la lente di ingrandimento americana. Trasporta sul suolo americano gli insegnamenti del 1905, limitandosi ad aggiungervi tutta la cattiveria di cui la borghesia americana è capace quando si tratti di difendere interessi di classe. Mette allo scoperto – nel Tallone di ferro – l’intero meccanismo della repressione governativa americana. Dà plasticamente forma all’attività controrivoluzionaria dei leader dell’AFL. Al tempo stesso, si leva contro le illusioni e contro l’opportunismo dei socialisti, contro il loro cretinismo parlamentare e democratico. Come potete, gli domanda, sperare in una pacifica vittoria attraverso le urne? Il Tallone di Ferro sopprimerà quanto resta delle ultime libertà. Il Tallone di Ferro vi schiaccierà senza pietà. E l’eroe del romanzo griderà ai socialisti, rimasti democratici inveterati: «Non c’è altra via che una rivoluzione di sangue».

Jack London era in anticipo sul suo partito – il partito socialista americano – che unicamente si preoccupava dell’aumento di schede socialiste negli appuntamenti elettorali. Ogni qual volta, nel libro, un riformista inneggia alla vittoria parlamentare prossima ventura, Jack London gli fa replicare: «Quanti fucili avete? Quante cartucce possiamo procurarci?». E se pure, quando l’eroico proletariato di Mosca venne inesorabilmente schiacciato dalla spedizione punitiva zarista, London dovette riconoscere quanto sia arduo il cammino che conduce alla vittoria, nondimeno fece sua la risposta di Lenin a Plechanov: conservò l’ottimismo, non smise di confidare nella vittoria finale del proletariato. Jack London riassume in due frasi le prospettive rivoluzionarie dopo la disfatta: «Questa volta siamo stati battuti, ma non siamo stati vinti... Abbiamo molto imparato, e domani il proletariato tornerà a sollevarsi, più forte, armato di maggiore esperienza e disciplina».

Nel Tallone di ferro vengono ripresi quasi tutti gli episodi della «prova generale» del 1905, e applicati al contesto degli Stati Uniti. Il menscevismo, le «cinture nere», il sistema dei passaporti, gli agenti provocatori, i gruppi terroristi. Il contadino americano stroncato dai grandi cartelli agrari che rimpiazzano il vecchio proprietario terriero, la lotta gigantesca tra le due forze sociali contrapposte, la tecnica americana (anziché zarista) di repressione a Chicago (anziché a Mosca), che allo sguardo degli operai incarna il loro inferno capitalistico. Tutto ciò conferisce al romanzo un’impronta di matrice americana, laddove – in realtà – il modello è russo. Risultato: un libro possente, e ancora senza uguali nella letteratura del nuovo continente.

Con Il tallone di ferro Jack London raggiunse il punto culminante della sua carriera e della sua arte. Fu talmente ispirato dal vento della rivoluzione, che il suo stesso talento di scrittore andò scemando a misura che andava attenuandosi l’eco del 1905. Peraltro, alla caduta di London contribuì la nuova direzione che volle imprimere alla sua vita. Si risposò. E il dibattito aperto, il giudizio collettivo della cerchia intima, cedettero il campo al tête-à-tête con la nuova moglie.

Gli amici si dispersero, mentre le sue apparizioni alla sezione socialista di Oakland vennero diradandosi sempre più. Prese a isolarsi, e cominciò presto a soffrire di tale isolamento. Più crescevano la sua popolarità e la sua gloria – e più crescevano, di riflesso, le formidabili sue royalties –, più incombeva su di lui il pericolo massimo per uno scrittore: la sterilità. Responsabile del crollo intellettuale di un uomo sino ad allora così fecondo, la sterilità costituì anche la causa principale della sua prematura scomparsa.

Spesso io mi sono chiesto a chi o a che cosa si debba imputare la rovina spirituale e fisica di questo giovane scrittore dal cervello tanto lucido e dalla muscolatura tanto potente. Per me, non c’è alcun dubbio: Jack London fu vittima dell’ambiente capitalistico. Conseguita grazie al talento e grazie al successo di opere divenute ultrapopolari, la rapidità stessa della sua ascesa fu tale da consegnarlo come una preda all’avidità degli affaristi. La borghesia americana – nella persona dell’editore di London – aveva fatto di lui, in qualche modo, un artigiano da sfruttare. In poco più d’un decennio di attività letteraria, il capitalismo spremette da lui milioni di dollari di profitti, inaridì la sua vena di scrittore rivoluzionario, arginò il suo slancio, lo deviò dalla sua strada. Come dimostrano bene le ultime sue opere.

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