A Venezia è (finalmente) protagonista il cinema d'animazione: in concorso ha trovato spazio «Anomalisa», unico film animato in lizza per il Leone d'oro.
Al centro della vicenda c'è Michael Stone, un esperto di customer service, incapace di sviluppare alcuna relazione degna di tale nome. Qualcosa, o qualcuno, potrebbe però cambiarlo per sempre.
È la seconda prova da regista di Charlie Kaufman, dopo «Synecdoche, New York», qui coadiuvato da Duke Johnson: Kaufman (celebre sceneggiatore di film come «Essere John Malkovich» e «Se mi lasci ti cancello») dimostra nuovamente un certo autocompiacimento stilistico ma, rispetto alla sua opera prima, «Anomalisa» è molto più fluido e capace d'intrattenere.
Coraggiosa la scelta dell'animazione in stop-motion, capace di dare un enorme valore aggiunto a un copione già di per sé ben strutturato e ricco di battute di grande spessore. Pur con qualche imperfezione di troppo, resta un'operazione sorprendente, originale e dotata di grande personalità. Curiosità: il film è nato senza l'aiuto di grosse major, ricorrendo alla campagna di fundraising lanciata su Kickstarter da Kaufman insieme ai produttori.
Un'accoglienza decisamente più tiepida quella ricevuta da Marco Bellocchio, che ha presentato in concorso «Sangue del mio sangue».
Diviso sostanzialmente in due episodi, uno ambientato nel passato e uno nel presente, il film si apre mostrando un giovane uomo d'armi, Federico, mandato dalla madre al convento-prigione di Bobbio: qui, esattamente come suo fratello prete, viene sedotto da suor Benedetta, donna che verrà murata viva all'interno dell'edificio. Diversi secoli dopo, nello stesso luogo arriverà un altro Federico, un ispettore, che scoprirà che l'edificio è ancora abitato da un misterioso conte che vive solo di notte.
Scritta dallo stesso regista, è certamente un'opera personale e sentita dal suo autore, ma purtroppo priva di quella coerenza (tanto nella forma, quanto nei contenuti) necessaria per un prodotto di questo tipo.
La partenza (così come la conclusione) è più che discreta, per scelte fotografiche e atmosfera, ma la pellicola si perde presto e la parte nel presente finisce per risultare irrisolta e fin confusa. Dialoghi grossolani e interpretazioni sopra le righe fanno il resto: peccato perché gli spunti avrebbero potuto dare vita a un lungometraggio ben più significativo.
Infine, da segnalare l'ultimo film in concorso della giornata: «Abluka» del turco Emin Alper.
Ambientato a Istanbul, racconta di un alto ufficiale della polizia che offre a un carcerato la libertà: in cambio, dovrà raccogliere informazioni per i servizi segreti sotto copertura.
Al contrario di Bellocchio, Alper parte col freno a mano tirato e si fatica a entrare in una storia eccessivamente fredda e dallo stile troppo distaccato: col passare dei minuti, però, il tiro si raddrizza, tanti nodi (anche familiari) vengono al pettine e il coinvolgimento sale.
Troppo tardi, indubbiamente, ma qualche spunto degno di nota è presente e, nel complesso, si può apprezzare un'essenzialità visiva tutt'altro che banale. Per gli importanti temi trattati, il lavoro di Alper potrebbe anche convincere la giuria ad attribuirgli un riconoscimento.
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