Cultura

Il cinema del futuro è a Toronto

  • Abbonati
  • Accedi
film festival

Il cinema del futuro è a Toronto

Bryan Cranston il comunista, Matt Damon-Robinson Crusoe interstellare, regine del soul incatenate al New Temple Baptist Missionary Church. Apre così l'edizione 2015 del Toronto Film Festival, un'orma improvvisa, depurata dalla competizione e dalle controfigure nonsense delle kermesse d'autore. A Toronto i cieli stellati delle nuove scoperte (pellicole, registi, neo-star) non contano, perché è il mercato che va alla riscossa. I film si comprano, le distribuzioni captano sinfonie di immagini e suoni, e nel sottotesto e ipertesto della rassegna si fa largo soprattutto il settore on demand: Michael Moore, Shia LaBeouf e Jason Bateman, secondo quanto riportato da Hollywood Reporter, hanno generato una guerra a doppio corpo tra i buyers più ricchi e generosi (Amazon, Broad Green, Netflix) e le compagnie più piccole ma con una propria identità forte (Relativity e Radius in particolare).

Unico inossidabile colosso: Harvey Weinstein. Resisteranno i mini-Studios? Vincerà la carrozza d'oro che non contempla cineprese leggere Super 16mm?
Nel mezzo scorre il marchingegno in stop-motion Anomalisa, diretto da Charlie Kaufman (regista di Synecdoche, New York) e sostenuto, non a caso, dallo showrunner e produttore esecutivo di Community, Dan Harmon, grazie ad una lunga campagna Kickstarter che ha permesso al progetto di crescere e cominciare il suo viaggio nel mondo. Tutto attraverso le donazioni dei sostenitori di Kaufman.

Toronto ci dice dove sta andando il cinema del futuro (quello del biglietto staccato prima d'entrare in sala) e il suo iper-programma è un'emersione continua verso la conquista di primavere e autunni cinematografici: territori inesplorati, vite disordinate, paesi lontani lontani. Eppure negli anni Settanta, prima dei red carpet e di première come American Beauty, Chariots of Fire e Il grande freddo, Hollywood aveva snobbato il festival. Solo un articolo del columnist Charles Champlin, apparso sul Los Angeles Times, osò dire: “Hollywood, questa volta hai cannato!”.

Per l'ex critico William Wolf, i fondatori non avevano idea di quanto autorevole fosse all'epoca la vetrina canadese; solo negli anni, la visione del festival e la sua influenza nel business mondiale si sono rivelate profetiche. Oggi Toronto è a metà tra il disgelo del mercato e il mostriciattolo del “tutto pieno”: troppi film appesi ad un pensiero che non c'è. Sugli schermi dilagano Black Mass con Johnny Depp, Equals con Kristen Stewart, Heart of a Dog di Laurie Anderson (tutti già alla 72ª Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia) ma senza un vero legame ideologico che li tenga uniti anche qui o altrove. Resta forte l'incontro con i distributori/acquirenti, manca invece un real estate dell'immaginario come materia di partenza per capire il cinema. E guardare il mondo senza frontiere.

© Riproduzione riservata