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Magnetico autodidatta

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Magnetico autodidatta

Saul Bellow (1915-2005) è stato lo scrittore più attraente della sua generazione: il suo ingresso nella società letteraria è stato così registrato da Ann Birst Kazin, la moglie di Alfred: «Uno splendore, la perfetta incarnazione del bel giovane ebreo intellettuale». Occhi a mandorla, sguardo liquido, labbra protese, cera ambrata, come possiamo dedurre dalle sue foto giovanili.

In assenza di un Leporello, neanche i suoi valenti biografi (ultimo dei quali Zachary Leader che, in occasione del decennale della scomparsa e del centenario della nascita, dedica solo alla prima parte della sua vita un volume di 780 pagine pubblicato da Knopf) sono in grado di stabilire un catalogo attendibile delle sue conquiste. Possiamo prendere atto di cinque matrimoni con donne belle, colte e, a mano a mano, più giovani: essendo il terreno di caccia a lui più congeniale quello universitario, nell'ambito sia del corpo docente sia di quello discente. La quinta moglie l'ha reso padre di una bambina, a lungo desiderata dopo tre figli maschi avuti con tre mogli precedenti, a 85 anni, eclissando la longevità sessuale di Picasso.

«Sono un Americano, nato a Chicago – quella tetra città – e affronto le cose come ho imparato da solo, in tutta libertà, e le racconterò a modo mio: primo a bussare, primo a entrare; a volte un colpo innocente, a volte non proprio innocente!» l'incipit, tra i più celebrati della letteratura nordamericana, delle Avventure di Augie March (1953) è stato assunto come un whitmaniano autoritratto del suo autore che, nella realtà, era nato nel Québec e a Chicago arriva a nove anni, al seguito della sua famiglia di ebrei russo-lituani; la cittadinanza americana la otterrà solo a 21 anni, vissuti senza documenti, quando si arruolerà nella marina mercantile, nel corso della Seconda guerra mondiale. Come già nel Canada, dal quale arriva francofono, da ragazzo la sua educazione si svolge anche nelle strade della città ventosa, crogiolo di immigrati di tutto il mondo, così che la sua identità ebraica un po' alla volta sbiadisce, quanto alla pratica dell'osservanza, nonostante il permanere dello yiddish come lingua materna e la lettura, mai interrotta, della Bibbia in ebraico. Chicago è la città di Theodore Dreiser ma anche di Al Capone e tra i compagni del giovane Saul non mancano gli aspiranti emuli del leggendario gangster con il loro slang colorito.

Intanto la sua vocazione di scrittore, nata durante una degenza all'ospedale, a otto anni, grazie alla Capanna dello zio Tom, si nutre con la lettura dei classici; ha anche l'occasione di collaborare a una iniziativa editoriale della «Encyclopedia Britannica» per la pubblicazione di 52 Grandi Libri del mondo occidentale e di un'altra collana filosofica sulle Grandi Idee. Giunto alle soglie dell'università, deve subire un contraccolpo, apparentemente negativo, quando, lasciata la Chicago University, perché troppo costosa, passa alla Northwestern, dove si aspetterebbe di poter seguire un corso di laurea in lingua e letteratura inglese. Quella autorità accademica ritiene però che in quanto ebreo, e per di più di origine russa, non è adatto a quella facoltà e lo indirizza ad antropologia che, associata a sociologia, costituirà poi un arricchimento specifico al bagaglio culturale dello scrittore. Ma per lui è un trauma, che neanche la più cruda scena primaria, fonte di risentimento e avversione nei confronti del mondo accademico di cui troviamo tracce esilaranti in Herzog (1964), il suo capolavoro, nella Resa dei conti (1965) e nel Dono di Humboldt (1975) e che alimenteranno le sue baruffe critiche con l'establishment letterario newyorkese che pure l'aveva accolto e lanciato, come gli Intellectuals of New York e i sofisticati redattori della «Partisan Review».

Contrariamente a ogni regola di correttezza, entra in polemica con critici del calibro di Lionel Trilling e Harry Levin che gli hanno riservato recensioni a lui non gradite, non necessariamente negative. Persino Alfred Kazin, suo convinto sostenitore, verrà rimproverato di non fare abbastanza per sostenerlo. Certo, ai suoi occhi non è estraneo il fatto che loro tre, ebrei come lui, occupano cattedre di inglese nelle elitarie università del Nordest (la cosiddetta Ivy League) ed esibiscono un'eleganza nel vestire, nel tratto e nel parlare tutti harvardiani. Non si salvano neanche i Wasp, come Edmund Wilson e John Updike, uniti nel complotto per «denigrare gli scrittori ebrei».

Bellow non è stato uno scrittore precoce, Le avventure di Augie March, il suo terzo romanzo, con il quale vince il primo dei suoi tre National Book Award, le pubblica, a 38 anni, in un clima di grande aspettativa. Dalla fine della guerra, infatti, nell'ambito di un dibattito fin troppo ricorrente sulla “morte del romanzo”, ci si chiede se i grandi protagonisti della Lost Generation, quali Hemingway, Fitzgerald, Steinbeck, potranno mai avere degli eredi. Poco prima del romanzo di Bellow erano usciti Il giovane Holden di Salinger e Sulla strada di Kerouac: tre libri epocali di rottura piuttosto che di continuità del canone. Augie, il picaro visionario e facondo, che cerca di dare un senso alla propria vita, ossessionato dal corpo femminile, come Leopold Bloom protagonista di fatti che accadono senza una sequenza logica, imbocca sentieri senza sbocco (come gli heideggeriani Holzwege); la sua lingua irresistibile di autodidatta, alterna, pagina dopo pagina, forbite locuzioni, il gergo dei ragazzacci di Chicago, strampalati epigrammi e borbottii talmudici.

Da qui in avanti la carriera di Bellow è tutta in discesa, anche se il successo commerciale arriverà a partire da Herzog. Per vivere, e scrivere, insegna un po' ovunque; gli si aprono le porte anche delle aborrite università aristocratiche del Nordest, dove dal dopoguerra anche gli ebrei sono ammessi all'insegnamento dell'inglese. Dopo Herzog, con Il pianeta di Mr. Sammler (1970) vince il terzo Nba, seguito dal premio Pulitzer per Il dono di Humboldt; a questo punto manca solo il Nobel, che arriva nel '76, a 61 anni. Ormai nel firmamento degli scrittori americani del suo tempo viene subito dopo William Faulkner, ma lui avrebbe obiettato: «Lasciamo le classifiche ai tennisti». La poetica joyceana che impronta la sua narrativa può non aver soddisfatto gli amanti della trama e degli eroi positivi, come non ha suscitato l'interesse del cinema, da cui avevano tratto beneficio i suoi predecessori e i loro eredi. In Italia, prima di approdare stabilmente alla Mondadori, dove sono reperibili alcuni Oscar e due volumi dei Meridiani, aveva cambiato spesso editore (Feltrinelli, Einaudi, Rizzoli), segno di un non facile radicamento; tra i suoi traduttori, Vincenzo Mantovani, Luciano Bianciardi, Maria Luisa Spaziani, Giorgio Monicelli.
Nei 12 romanzi e 2 racconti che ci ha lasciato molto è riflesso della sua vita, anche sentimentale, del suo percorso intellettuale e politico, pervaso da un senso hegeliano del valore delle contraddizioni.

Al trotzkysmo iniziale subentra, negli anni 60, la disillusione di fronte all'atteggiamento della sinistra, in particolare dell'amico Sartre, verso l'imperialismo sovietico, al punto di sfociare in un conservatorismo che lo vede clamorosamente opposto alla manifestazione contro la guerra nel Vietnam organizzata da Norman Mailer e Robert Lowell nel '67. Più tardi si avvicina alle posizioni neocon dell'amico politologo Allan Bloom (La chiusura della mente americana, 1987), che gli ha ispirato il suo ultimo, tra i migliori, romanzo, Ravelstein (2000).

Fiero oppositore del politically correct, e non sempre a sproposito, non sopportava il multiculturalismo, e i suoi effetti grotteschi sul piano di studi; le femministe, in particolare Susan Sontag, a cui riservava battutacce impubblicabili (ma profetiche rispetto alle odierne esibizioni delle Femen); i gay, anche se amici suoi, come Allan Bloom; i difensori (democratici) dei diritti degli afro-americani. La sua (paradossale) misoginia è stata fatta risalire alla morte precoce («senza chiedergli il permesso») della madre o, più banalmente, a quattro divorzi di non facile gestione: Herzog, pure alter-ego dell'autore, sentenzia: «le donne mangiano insalata e bevono sangue».

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