Cultura

Stroncatura preventiva di questo numero

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LA MACCHINA DEL FANGO

Stroncatura preventiva di questo numero

Nel mese del lancio dei palinsesti, la squadra di IL, con l'atteggiamento del twittatore cinico, si permette di dare consigli di storytelling nientemeno che alla più grande e antica azienda di cultura e narrazione italiana: la Rai.

Infatti, a quelli di IL, la Rai sta stretta e – come se il loro circolo di fighetti Pantone-dipendenti rappresentasse il polso del Paese – pensano di poter decidere che, nel prime time generalista, il signor Peppino di Catanzaro e la signora Pina di Vicenza non debbano trarre piacere dalla visione di Don Matteo o di Anna Valle, ma da una doppia puntata sottotitolata di Veep. Per loro, la missione educatrice della tivù di Stato è fuori tempo massimo, nell'era in cui la gente non ha la tv, ma solo schermi. Peccato che questa gente “non-ho-la-tv-ma-solo-schermi” sia Vincenzo Latronico (che nel tempo libero frequenta workshop dove si tenta di trasformare racconti in plastici di architettura…!), e la maggior parte delle persone sull'autobus si esprima ancora dicendo «ieri ho visto cosa davano sul 5».

Ma, anche ammesso che IL voglia concedere alla Rai un residuo di missione civilizzatrice, essa non deve coincidere con un linguaggio popolare e un universo di valori genuini, no! Deve mirare a innalzare le casalinghe a personaggi di Aaron Sorkin, e a rimpiazzare Braccialetti rossi con Mr. Robot nel cuore del teenager semianalfabeta.
Ma perché la Rai dovrebbe ispirarsi a Netflix? Forse perché i giornalisti di IL credono davvero che Orange Is the New Black in Italia possa fare più ascolti di Santa Teresa d'Avila? O perché tramano segretamente di far fallire l'inviso servizio pubblico, consigliandogli di mettere in programmazione Sense8?!?
Si fa presto a ironizzare sulla presentazione del palinsesto Rai contro la diseguaglianza narrativa: basta essere quelli che non hanno la tivù, fingere che tipo il 95 per cento del Paese non esista e che lo show più becero che si possa guardare quando si ha voglia di soap sia veramente Scandal.

Solo così, ignorando il resto dell'Italia senza Donna Tartt sul comodino e priva di bici a scatto fisso, si può bellamente ridicolizzare lo statalismo Rai, mentre in Prima Pagina si è costretti a constatare – a denti stretti – il rigurgito europeo del socialismo e dell'anti-capitalismo. Sommo spauracchio che, pari solo a una fiction con Vanessa Incontrada su un barcone di migranti, può essere combattuto solo a colpi capitalisti di Netflix, il cui arrivo in Italia pare avere la portata dello sbarco degli Alleati.
Insomma, se la televisione quaggiù è ancora grandemente associata al male, è solo colpa di quel vecchio saggio di Karl Popper, e del fatto che non abbiamo un nostro Letterman, pardon, uno Stephen Colbert.
Il pubblico non c'entra. Il pubblico sarebbe pronto per Amy Schumer e Louis C.K., solo che quei comunistoni conservatoroni della Rai non glieli vogliono dare, perché preferiscono ammansire le menti con le fiction e si intestardiscono a proporre modelli etici come Stefania Sandrelli madre-coraggio anziché Frank Underwood che getta ragazzine sotto le rotaie della metro.

Il pubblico, per inciso, è in buona parte quello di cui si parla nel Fogliettone, quello per cui la “questione meridionale” non è il divario fra il settentrione e il meridione d'Italia, ma la “questione” intesa come rissa, che si solleva per strada per uno sguardo di troppo lanciato incrociando un passante. Il pubblico è quello che lancia schiaffoni in piazza e molotov allo stadio; è anche, in gran parte, quello che vota Grillo e Salvini, e forse ha più bisogno di vedere Claudio Amendola che lavora in un c.p.t. di Lampedusa, piuttosto che sentirsi consigliare Daredevil da un solerte e colto centralinista di Netflix laureato in Scienze della comunicazione.

Per fortuna, alla fine del numero, c'è un pezzo di Nadia Terranova che distrugge tutti i ragionamenti fatti fin qui, chiarendo il concetto che le narrazioni non sono fatte per migliorarci, ma ci lasciano le brutte persone di prima. Allora, tiriamo un sospiro di sollievo: tanto vale vedersi Breaking Bad e Il trono di spade, leggersi i gastro-romanzi della Baresani esaltati da Masneri, o perfino i racconti deprimenti di Edoardo Nesi. O addirittura, addirittura abbonarsi a IL su iPad.

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