Cultura

ASCESA (A SBAFO) E DECLINO DI UNA FOOD BLOGGER DI PROVINCIA

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RANE

ASCESA (A SBAFO) E DECLINO DI UNA FOOD BLOGGER DI PROVINCIA

Da qualche anno, sottotraccia, Camilla Baresani castiga ridendo i costumi alimentari. Piccola Balzac bresciana della cotoletta, costruisce pretestuose figurine femminili alle prese con pasta di Gragnano, impiattamenti, sali rosa dell'Himalaya, allergie al glutine, con ferocia da moralista secentesca e una conoscenza del “tema” e dei “luoghi” non comune. Raccontando in realtà, con precisione celata sotto una lingua volutamente basilare, il disgraziato Paese alle prese con l'unica bolla disponibile, quella alimentare.
Anche in questo nuovo libro, Gli sbafatori, racconto lungo o romanzo breve, comunque morale, ecco l'ascesa di una protagonista sgarrupata e basic “blogger” nel mondo del “food”, cioè incarnazione duplice del grado zero dell'umanità, l'essere umano da social, declinato secondo la temperie di oggi, l'ossessione per il cibo. Ecco dunque questa protagonista, Rosa, incontrare in ascensore (sociale) un vecchio critico gastronomico che più e prima di lei ha accatastato benefici e status e marchette, e lei, My Fair Lady del pacchero, innamorarsi immediatamente del suo Pigmalione dell'abbattitore, in fuga da altre disgraziate blogger o critiche che lo bramano tra corridoi di ristoranti naturalmente bi e alberghi penta (stellati). Ed ecco dunque scopate, scopate normalmente stanche tra questi hotel di massimo lusso, dove gli Sbafatori alloggiano gratis appena raggiunto un certo status, con complimentary rooms che vengono date e tolte come termometro implacabile di carriera, in vecchi alberghi gloriosi come il Gritti di Venezia, dove si apre e chiude l'operetta morale-alimentare di Baresani, o invece con i led «amati dai ricchi di ricchezza improvvisa»; coi protagonisti e le prestazioni però quasi sempre appesantite da degustazioni e latticini e gonfiori da quindici portate.
Con Guidobaldo-Pigmalione che odora di alici di Cetara (la nuova rucola) oppure con un giovane chef palestrato con tatuaggio sulle chiappe, che mentre armeggia in un amplesso non molto leggendario e anzi masturbatorio come le sue ricette si interrompe perché improvvisa è arrivata l'Ispirazione, maiuscola, come sui menu e nei comunicati, naturalmente per un piatto complicato con nomi e ingredienti del massimo kitsch (e la povera disgraziata Rosa constata le unghie di lui nere – «saranno i carciofi? No, non è stagione»). L'arrampicata di Rosa riesce veloce e inesorabile, in un'Italia un po' surreale tra grand hotel e la Stazione Centrale di Milano popolata da migranti; dai primi inviti disperati da cui torna a casa con omaggi alimentari fino alle degustazioni selettive nel posto giusto e al tavolo giusto. La protagonista non si dà mai per vinta, neanche quando l'amato la abbandonerà per l'estate e lei si dovrà consolare con un tragico prosciutto di Langhirano intero, pesantissimo, che arriva in un misterioso pacco, nella Milano deserta di Ferragosto, e, scartandolo da un complicato imballo, questo prosciutto acquisterà una sua umanità, diventerà quasi un animale da adottare (necessita di molte premure, questo prosciutto donato, va tenuto appeso in un locale oscuro ma fresco, bagnato con dei panni umidi, se possibile con vino bianco. È un bambino, un figlio). Non può nemmeno essere rivenduto, nella Milano deserta estiva, a un salumaio, o su eBay, perché ricostruire l'imballo sarebbe difficilissimo, e dunque questo prosciutto dal volto umano verrà portato in vacanza, vacanza povera e occulta, dai genitori a Soiano, sulle rive del Garda popolate da turisti tedeschi middle class.
Sola col suo prosciutto, nella tragica villeggiatura, la protagonista food blogger si prepara al redde rationem e all'ingresso trionfale nella season che sta per ricominciare. Sullo sfondo, detriti dementi dell'Italia di oggi: abbattitori, cialde, “verticali” di champagne, stelle Michelin, stelle alberghiere, show cooking, spume, classifiche, “post”, “post sponsorizzati”, Identità Golose, in un dizionario flaubertiano, in un'Italia oltretutto impoverita, de-industrializzata: col padre della protagonista che si inventa un mestiere di accompagnatore di bus turistici per pellegrini, salvandosi così dalla rovina di una Macroregione un po' decotta; e città e stazioni di drammatiche migrazioni, e giornalisti e blogger poracci che postano e twittano e instagrammano questi micidiali cibi. Rassegnati ma (quasi) sazi, perché in questo Paese alla fine si sa che è impossibile morire veramente di fame.

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