Cultura

Le poesie del frate eretico

  • Abbonati
  • Accedi
SAVONAROLA

Le poesie del frate eretico

È stato lo stesso Savonarola agli esordi della produzione letteraria ad indicare gli orientamenti principali della sua vita. Non aveva ancora vestito l'abito dei predicatori, quasi sicuramente per l'influsso esercitato da nonno Michele, medico soprattutto dei poveri, e il giovane Girolamo scriveva due canzoni dal titolo De ruina mundi e De ruina ecclesiae, nelle quali uno scontato ottimismo giovanile lasciava spazio al disgusto per la società del tempo e per la Chiesa.

Le sue parole superano ogni possibile spiegazione: «Ne le mani di pirata è gionto il scetro;/ A terra va San Pietro;/ quivi lussuria ed ogni preda abonda,/ Che non so come il ciel non si confonda» (versi 19-23 della prima composizione ricordata). Sono stati datati 1472, tempo in cui da un anno o probabilmente soltanto da qualche mese, Francesco della Rovere era diventato papa Sisto IV. Si parlò per la sua elezione delle interferenze non adamantine che ebbero i cardinali Borgia, Gonzaga, Orsini; di certo si fece sentire il peso del duca di Milano, Galeazzo Maria Sforza. Non si raggiungono, durante questo pontificato, gli eccessi che in mondo vedrà con Alessandro VI, salito al soglio di Pietro nell'agosto del 1492.
Savonarola, però, è già vigile. Sferza individualismo, arroganza e superbia e tutti i desideri che brulicano attorno ai posti di potere; denuncia nella Oratio pro Ecclesia dell'agosto 1484 «Che ogni tuo culto e ogni bel costume/ Si perda a nostro danno». La sua non è comunque e soltanto una poesia di opposizione: per esempio tra i suoi versi non manca un sonetto giovanile dedicato all'Ascensione del Signore e altri si rivolgono alla Vergine. C'è anche una lirica per Maria Maddalena, probabilmente risalente alla tarda estate del 1484, tempo in cui si stava chiudendo l'attività poetica di frate Girolamo: «Amor, amor, amore!/ Grida il tuo cuor con ogni pena».

Le rime di Savonarola ritornano in una raccolta pubblicata dall'editore Il Melangolo e commentata egregiamente, con numerose indicazioni filologiche, da Giona Tuccini, che insegna letteratura italiana alla University of Cape Town. In esse si cela a volte il “poeta equivoco” (è comunque un riscrittore di Petrarca) e appare continuamente il “profeta calamitoso”; non mancano mai i moniti e si riflette senza interruzione una spiritualità eccezionale. Nota Tuccini: «Nei suoi quadri mentali, Cristo era il restauratore della Repubblica fiorentina, il governatore era il suo intermediario, la Chiesa era il nido delle anime, le Scritture erano il contravveleno al pensiero debole e al peccato, i dieci comandamenti erano il codice civile e la carta costituzionale».

Le poesie rifrangono questa concezione. La quale, come è noto, finì in un rogo: il frate fu impiccato e poi bruciato in piazza della Signoria, a Firenze, il 23 maggio 1498. Il pontefice era Alessandro VI. Indro Montanelli, di Fucecchio come Tuccini, commentava il fatto con una formula diventata controcorrente: «Meglio quel papa che quel frate».

Girolamo Savonarola, Rime, il Melangolo, Genova, pagg. 272, € 12,00

© Riproduzione riservata